Le dittature hanno sempre paura di due cose: la verità e il popolo. E faranno tutto il possibile per impedire alla gente di conoscere o ricordare la verità. Questo è vero per ogni tirannia, ma in particolare per il regime del Partito Comunista Cinese di Xi Jinping a Pechino. Ha coperto le origini del Covid-19, messo a tacere gli informatori e ostacola le richieste di un’indagine internazionale indipendente. Mente sul genocidio degli uiguri. Nega che vengano prelevati forzatamente organi umani. Teme il popolo di Hong Kong e il suo desiderio di democrazia. E negli ultimi 32 anni, la linea ufficiale in Cina è stata anche che “nulla è successo” in Piazza Tiananmen e in tutto il paese il 4 giugno 1989.
Come Louisa Lim descrive così bene nel suo libro The People’s Republic of Amnesia, poche persone in Cina nate dopo il 1989 sono a conoscenza del massacro, tale è la propaganda del regime e il suo controllo delle informazioni. E come ha rivelato il corrispondente della BBC John Sudworth quando ha mostrato immagini di Tank Man ai cinesi per le strade di Pechino, anche quelli di una generazione abbastanza vecchia da ricordare affermano – presumibilmente per paura – che non ricordano.
La scorsa notte il regime cinese ha tentato di infliggere quell’oblio forzato a Hong Kong quando, col favore delle tenebre, l’Università di Hong Kong ha eseguito gli ordini di Pechino e ha rimosso il monumento della Colonna della Vergogna che commemora appunto il massacro di Piazza Tiananmen. Con grande segretezza, i lavoratori hanno appeso tende e barriere di plastica intorno all’area e alle 23:00 hanno sbarrato le finestre per oscurare la vista del sito, mentre le guardie di sicurezza hanno rifiutato l’accesso ai giornalisti e hanno isolato le strade. Un container è stato portato con una gru. Si sentiva il rumore dei lavori di costruzione, si vedevano lavoratori spingere carri di macerie e all’una di notte di oggi, ora locale, la statua commemorativa era scomparsa.
Il pilastro della vergogna, che da 24 anni si trovava nel campus dell’Università di Hong Kong, era opera dello scultore danese Jens Galschiøt che ha a risposto alla notizia con una dichiarazione: «Sono totalmente scioccato dal fatto che l’Università di Hong Kong stia attualmente distruggendo il Pilastro della Vergogna… È mia proprietà privata e la scultura appartiene a me personalmente… Richiederò un risarcimento per qualsiasi danno alla scultura. È una vergogna e un abuso e mostra che Hong Kong è diventata un luogo brutale senza leggi e regolamenti come la protezione della popolazione, delle arti e della proprietà privata… Ed è ancora più grottesco che usino la festa occidentale, il Natale, per realizzare la distruzione dell’opera d’arte».
La mossa è l’ultimo chiodo nella bara delle libertà di Hong Kong, una bara in cui sono stati piantati molti chiodi negli ultimi anni. Fino al 2020, Hong Kong, grazie alle sue promesse di libertà e autonomia secondo il principio “un paese, due sistemi”, era l’unica città sotto la sovranità cinese in cui si poteva commemorare il massacro di Piazza Tienanmen. Ogni anno, il 4 giugno, migliaia di abitanti di Hong Kong si riunivano nel Victoria Park della città per ricordare il massacro del 1989. Ora molti degli organizzatori della veglia sono in carcere e la commemorazione è vietata.
La distruzione del Pilastro della Vergogna mostra l’intenzione del regime di vietare non solo le veglie ma qualsiasi simbolo visibile, con la speranza di cancellare dai libri di storia e dalla memoria delle generazioni future ogni conoscenza della tragedia che si è scatenata sul popolo cinese nel 1989. Rappresenta la campagna di Pechino per trasformare Hong Kong in un’altra città cinese controllata dal Partito Comunista.
Ecco perché il resto del mondo ha la responsabilità di garantire che il massacro del 1989 non venga mai dimenticato e che coloro che sono morti o sono stati incarcerati semplicemente per aver protestato per la democrazia siano sempre onorati e ricordati. (Fonte)
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