Mario (nome di fantasia), 43 anni, è paralizzato dalle spalle ai piedi da 10 anni a causa di un incidente stradale in auto. Ha chiesto oltre un anno fa all’azienda ospedaliera locale – la Asur Marche – che fossero verificate le sue condizioni di salute per poter accedere, legalmente in Italia, ad un farmaco letale per porre fine alle sue sofferenze.
“Mario” è il primo malato in Italia a poter accedere alla procedura per il suicidio medicalmente assistito.
«Non ho più niente della mia vita precedente», ha scritto “Mario”, «per me questa non è più vita, ma pura sopravvivenza. Per questo ho fatto la richiesta di accesso al suicidio assistito. E ho scelto di farlo in Italia, per poter essere circondato dai miei affetti, fino alla fine».
La vicenda ha inizio nel 2020, la battaglia di “Mario” per accedere al suicidio assistito è stata molto combattuta. Dopo il diniego dell’Azienda Sanitaria, con l’aiuto dei legali dell’Associazione Coscioni, l’uomo ha presentato istanza al Tribunale di Ancona, che in prima battuta ha respinto la richiesta. A seguito di reclamo promosso dai legali, il Collegio del Tribunale ha ribaltato la decisione, riconoscendo il diritto al farmaco letale se l’azienda sanitaria avesse appunto riscontro i presupposti previsti dalla sentenza Cappato-Dj Fabo. Tra cui appunto il «parere del comitato etico territorialmente competente». Che ora è arrivato e apre per la prima volta, pur in assenza di una legge chiara in materia, non solo alla non punibilità del reato per chi aiuta il malato a morire, ma di fatto al riconoscimento di un vero e proprio diritto di questi a chiedere il farmaco letale.
L’avvocato Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Coscioni e codifensore di Mario, ha dichiarato: «Il comitato etico ha esaminato la relazione dei medici che nelle scorse settimane hanno attestato la presenza delle 4 condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale nella sentenza Capato-Dj Fabo, ovvero Mario è tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale; è affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili; è pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; e che non è sua intenzione avvalersi di altri trattamenti sanitari per il dolore e la sedazione profonda. È molto grave che ci sia voluto tanto tempo, ma finalmente per la prima volta in Italia un Comitato etico ha confermato per una persona malata, l’esistenza delle condizioni per il suicidio assistito».
Secondo Alfredo Mantovano, magistrato in Cassazione e vice-presidente del Centro studi Livatino, sentito dal Timone, «un elemento che occorre evidenziare è che la disciplina di questi comitati etici “territorialmente competenti” è nel caos». Perché, spiega, «nel 2018 con la legge Lorenzin si stabiliva una delega al riordino che però non è stata mai applicata. Ora il ministro Speranza vorrebbe intervenire con un decreto ministeriale che però non è lo strumento per fare ordine, specialmente su una materia così delicata come il fine vita. Insomma, è lecito chiedersi se nel caso di “Mario” questo comitato etico abbia tutte le carte in regola per essere dirimente in una questione così complessa. E poi c’è il merito sul parere che è stato espresso e su cui potremo dire qualcosa in più una volta che sarà pubblico».
In sostanza comunque c’era da aspettarsi una situazione come questa. «A mio parere», dice Mantovano, «la lettera della Sentenza Cappato e la legge sulle Dat del 2017 non autorizzano ad arrivare a questa interpretazione del caso “Mario”, tuttavia è chiaro che la sentenza e la legge costituiscono insieme un mix letale, perché aprono le porte a questa confusione».
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