Era il 2012 o il 2013, non ricordo con precisione, e ci trovammo a Bologna allo stesso tavolo, insieme a molti amici davanti a un piatto di tortellini fumanti. Luigi Amicone era di fianco a me e si parlava di vita, cultura e politica con quella verve che gli era propria, spumeggiante e mai banale. Ci fu una domanda che rimbalzava tra le altre, fra un bicchiere di pignoletto e la mortadella: «Luigi, ma come deve essere un bravo giornalista cattolico?».
«Deve essere un giornalista bravo. E basta».
Fu probabilmente la migliore lezione di giornalismo che io abbia mai sentito, con il pregio della sintesi. Così ci piace ricordare oggi Luigi Amicone, che è morto questa notte a Monza. Una preghiera per lui e un’altra di vicinanza alla famiglia e agli amici della redazione di Tempi. (Lorenzo Bertocchi)
di Vincenzo Sansonetti
Definiva “il cuore inquieto” dell’uomo “un grande mistero”. Il suo cuore ha cessato di battere all’improvviso nella notte tra il 18 e il 19 ottobre, pochi giorni dopo aver compiuto 65 anni. E la sua esistenza terrena è stata sicuramente inquieta, divisa tra battaglie civili e impegno politico, sempre nel segno di una fede viva, concreta, visibile e incisiva, mai rinunciataria e disarmata.
Luigi Amicone, giornalista e saggista, era come me figlio di immigrati dal Sud. Nato a Milano, è nella metropoli lombarda che ci siamo incontrati la prima volta, in quei vivaci anni Settanta del secolo scorso ricchi di contraddizioni e di promesse. Io stavo per laurearmi in Scienze Politiche all’Università Cattolica, Luigi entrava come matricola nella stessa facoltà. Colpiva in lui l’essere uno spirito libero, non ingabbiato in schemi ideologici, unito a una simpatia umana e a una giovialità rare.
Aveva alle spalle una contiguità con la sinistra extraparlamentare (era sulle posizioni di Avanguardia Operaia) ma l’incontro con Comunione e Liberazione cambia completamente la sua prospettiva, dando un senso e una direzione alla sua passione innata per il destino dell’uomo, l’affermarsi della giustizia e della verità. Uno sguardo a tutto campo che si riflette nella professione giornalistica, vissuta con competenza e con coraggio. Prima inviato del settimanale di area ciellina Il Sabato, poi fondatore del settimanale Tempi – di cui è stato direttore fino al 2016 – non si è mai tirato indietro nel raccontare con precisione ed equilibrio scenari di guerra e di pace, dall’Iraq al Libano, dall’Irlanda del Nord a Varsavia, Praga, Mosca, sempre attento non alle ragioni dei potenti ma a quelle del popolo.
Le nostre strade si sono incrociate più volte, negli appuntamenti annuali del Meeting di Rimini, ma anche in altre occasioni. Ci univa un comune sentire sulle vicende complesse, drammatiche e spesso confuse del mondo e della Chiesa. Entrambi abbiamo sempre ritenuto che l’esperienza di una fede vissuta e testimoniata offrisse il criterio per giudicare la realtà. Luigi si è messo in gioco in prima persona, come consigliere comunale di Forza Italia a Milano, candidandosi poi nel 2018 per un seggio senatoriale in Emilia-Romagna. Non ce la farà , ma il suo impegno in campagna elettorale è caratterizzato dai suoi cavalli di battaglia di sempre: educazione, giustizia, immigrazione, soprattutto famiglia.
Si definiva un “capotribù”, con l’amatissima moglie Annalena (“mamma Oca”), sei figli e uno stuolo di nipoti. Sempre in campo, mai fermo, era davvero l’incarnazione di quella “ingenua baldanza” così cara al servo di Dio don Luigi Giussani, che infatti lo prediligeva e lo apprezzava. Negli ultimi mesi, quasi temesse mi sfuggissero, Amicone amava mandarmi i suoi interventi su Tempi, divenuto mensile e con cui ancora collaborava. Quello del 31 agosto era un’acuta riflessione sull’estate che abbiamo alle spalle, sfregiata da numerosi e gravi atti di vandalismo (rave party e non solo), “una specie di vigilia di Kabul della civiltà italiana”. Con un appello finale a svegliarci e a impegnarci di più, con maggior decisione, senza paura. Una lezione, quella di Luigi Amicone, da non dimenticare.
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