Più che sconfitta, per i pro life è stata un’autentica batosta, quella di domenica a San Marino, dove il referendum sull’aborto ha visto i favorevoli alla legalizzazione trionfare col 77% dei consensi. Per non parlare di quel 59% di astenuti che, in uno Stato dove il 98% della popolazione si dichiara cattolico, rende il tonfo ancora più amaro. Eppure il combattivo don Gabriele Mangiarotti, nato ad Arese, a nord ovest di Milano, 73 anni fa, sacerdote nella diocesi San Marino-Montefeltro e direttore del sito Cultura Cattolica, pur non negando la gravità della situazione («sembra una catastrofe») tutto è fuorché rassegnato. E al Timone ha parlato con la determinazione di chi è deluso, chiaro. Ma intenzionato a non mollare.
Don Gabriele, come va?
«Io sto bene. Quanto al referendum, è accaduto qualcosa che purtroppo era prevedibile, anche se alcuni auspicavano e speravano in un risultato, se non opposto, almeno meno netto. Da parte mia, ho profuso tutto l’impegno possibile, e non certo solo in queste ultime settimane. Già nel 2016, scrissi una lettera con cui evidenziavo la gravità della situazione. E da allora il mio impegno è stato costante e quotidiano. Quello che più mi addolora è che tanti che hanno votato a favore dell’aborto erano di formazione o impostazione cristiana».
Ma cosa è successo?
«É successo quello che dicono i numeri: circa 3.000 persone hanno scelto di difendere lo status quo che considera l’aborto un reato, contro i circa 11.000 che hanno sostenuto, col loro voto, la posizione contraria. Possiamo dire pure che la verità non la stabiliscono i numeri, ma certo quanto accaduto ci interroga profondamente».
Anche perché, diceva, tanti cattolici hanno votato pro aborto.
«Questo ci dice che c’è un’emergenza educativa per arginare la quale è necessario agire».
Qual è, ora, la priorità dei pro life sanmarinesi?
«Ora ci aspetta un compito difficile, per non rassegnarsi a una mentalità che già era data per vincente, e che ha avuto dalla sua parte quasi tutti i mezzi di comunicazione, che ha sentito solo le voci di chi si diceva da un lato per l’aborto».
Ma ha senso battersi ancora su questi temi, dopo una batosta come quella di domenica?
«Sono convinto che, drammaticamente, questo impegno sia ora ancora più necessario, anche perché adesso c’è chi sta tentando di coinvolgere i cattolici nella redazione di una legge sull’aborto che tenga conto di tutte le varie impostazioni. Tutto ciò è insostenibile, perché non si può pensare ad una “legge cattolica” su questa materia. Quindi bisogna agire per recuperare la coscienza dei cittadini e dei politici stessi per la difesa della vita umana. Quindi il compito c’è eccome».
La contaminazione ideologica odierna consente ancora quindi, per lei, di risvegliare le coscienze?
«Se fossi convinto che la situazione fosse irrecuperabile, non farei nulla. Non sono rassegnato. Sono invece convinto che la verità debba trionfare continuamente».
La sento fiducioso, nonostante tutto.
«Sì, anche perché sono convinto tutto ciò che è accaduto non è accaduto invano. Nei tempi della lotta dei polacchi per la libertà – che molti di noi hanno amato, aiutato e condiviso – uno slogan rincuorava tutti: “La Polonia non è morta finché noi viviamo”. San Marino e il suo essere amore per la vita e la libertà autentica non è morto finché noi viviamo, siamo insieme, incontriamo il cuore di ogni persona. I nostri amici non saranno i numeri, ma il cuore degli uomini e delle donne, quel cuore che si è mosso quando ha visto che la difesa della vita non era uno slogan ma una concreta possibilità di aiuto. E quindi, per tutti, la possibilità di una cultura nuova e una educazione autenticamente umana. Umana perché cristiana».
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