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Il card. Sarah a Medjugorje: «Passiamo all’altra sponda, quella di Dio»
NEWS 3 Agosto 2021    di Redazione

Il card. Sarah a Medjugorje: «Passiamo all’altra sponda, quella di Dio»

La Messa di apertura del 32° Festival della Gioventù a Medjugorje è stata celebrata dal Cardinale Robert Sarah, Prefetto emerito della Congregazione per il Culto e la Disciplina dei Sacramenti. Riportiamo integralmente la sua omelia:

Cari fratelli e sorelle,

La diciottesima domenica dell’anno liturgico ci introduce al tema del Pane di Vita, la Santissima Eucaristia, attraverso una lettura dal Libro dell’Esodo che parla del miracolo della manna e del famoso capitolo sesto del Vangelo di san Giovanni. Dopo la miracolosa moltiplicazione dei cinque pani e dei due pesci, inizia il lungo discorso di Gesù sul “Pane della vita“, che si propone di spiegare e approfondire il significato di questo miracolo. Il messaggio di Gesù è incentrato sulle opere di Dio. Coloro che lo ascoltano, infatti, gli fanno questa domanda: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?» (Gv 6,28), Gesù risponde: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato.” (Giovanni 6, 29)

Siamo venuti qui, a Medjugorje, per rinnovare la nostra fede in Gesù Cristo, nostro Redentore, cioè per stabilire un rapporto autentico e vitale con Lui, nostro Signore e nostro Dio, affinché nella preghiera possiamo rispondere alla domanda cruciale: come trovare Gesù e come comportarsi alla Sua penetrante e sovrana Presenza? In altre parole, stiamo davvero cercando Dio? O più precisamente, qual è il posto di Dio nella nostra vita? Abbiamo sentito il bisogno di venire in questo pellegrinaggio, che è come esercizi spirituali, perché viviamo immersi in un mondo che cerca di vivere senza Dio, mentre vogliamo incontrare il Signore; siamo venuti per ricaricare le nostre batterie in modo da poter vivere meglio alla Sua presenza e per poter testimoniare lo splendore della Verità e della Misericordia di Dio.

Molti nostri contemporanei, direi anche la moltitudine di persone così vicine a noi, nelle nostre famiglie, tra i nostri amici, dove studiamo e lavoriamo, sembrano insensibili, indifferenti, persino contrari e ostili alla questione dell’esistenza di Dio; affermano addirittura di non pensare più affatto alla fede e che è un segno che sono liberi. Eppure ogni giorno vediamo con i nostri occhi le conseguenze di questa forma di ateismo pratico, che è simile all’apostasia, o paganesimo moralmente degradante: il desiderio (cfr Ef 4,17), cioè come un vecchio, ingannato dalle concupiscenze (cfr Ef 4,22).

Sappiamo cosa provoca questo nulla nelle nostre società sature di beni materiali: egoismo, edonismo, menzogna, violenza, confusione a livello di idee dove viene bandita ogni, anche la più ovvia verità, nonché i comportamenti decadenti che spesso la legislazione del nostro Paese giustifica, nella misura in cui sempre più nostri contemporanei prendono coscienza che la negazione di Dio porta alla vera negazione e degradazione della persona umana, cioè della sua dignità, che porta alla sua distruzione. San Paolo ci chiede di ricordare il nostro battesimo e di lasciarci rinnovare “e di rivestire un uomo nuovo, creato da Dio in giustizia e santità di verità” (Ef 4,24).

Oggi Cristo Signore ci chiama a guardare in alto; è davvero importante ricordare ai consumatori moderni di mangiare per vivere, non di vivere per mangiare! Gesù, che conosce il cuore umano, vuole rispondere ai nostri desideri più profondi, alle nostre aspirazioni più importanti, a questa fame d’Amore e a questa sete di Assoluto che ci tormenta. Vede come troppo spesso corriamo verso una sorgente inaridita, incapace di placare questa fame e questa sete, cioè verso l’onnipotente tecnologia che abbiamo elevato a divinità. Gesù vede la nostra angoscia davanti al vuoto della nostra esistenza lasciata a noi stessi, senza che il Buon Pastore ci guidi e ci introduca nella sua terra santa, come dice oggi il Salmo.

Il Signore, quindi, ci invita a passare “all’altra sponda”. Questo è un simbolo importante: “passare all’altra sponda” significa rinunciare alla via facile e andare sulla via di Dio. “Attraversare l’altra sponda” significa di più: accettare la propria guarigione dalla grande ferita del nostro tempo: l’indifferenza religiosa, il relativismo morale, l’individualismo, l’edonismo egocentrico. Papa Benedetto XVI ha parlato di questo tema del “uscire da se stessi”. E l’unico rimedio che può guarirci da questa malattia mortale per la nostra anima è il Pane di Vita, la Santissima Eucaristia. I Padri greci definivano l’Eucaristia “pharmacon tès zoes”, “il rimedio della vita”, dice il salmo odierno: il pane dei forti per noi malati.

Osiamo accostarci veramente alla Santa Comunione come poveri peccatori, per rafforzarci nella fede. “Amare significa dare e donarsi”, diceva S. Teresa di Gesù Bambino. Una costituzione pastorale II. Il Concilio Vaticano Gaudium et Spes insegna con autorità che “l’uomo non è un individuo chiuso in se stesso, ma una persona chiamata ad arrendersi agli altri nell’amore”. La Santa Eucaristia è, dunque, veramente un rimedio che ci permette di lasciare la sponda del nostro conforto e della nostra falsa sicurezza, segnata dal relativismo, e di varcare la sponda del Vangelo della Verità e della Salvezza delle nostre anime.

Gesù ci parla di “pane vero”, “pane di vita”, “pane disceso dal cielo”. L’unico vero pane è dunque Lui, Gesù. È il Pane che dà la vita. In altre parole, Gesù vuole che si passi dalla fame materiale, fame del nostro corpo, alla fame spirituale, fame della nostra anima: dal pane che piange la fame fisica al vero Pane di vita che piange ogni fame, che significa fame dell’anima, perché Gesù è il Pane di Dio che discende dal cielo e dà la vita al mondo. E solo Lui può placare la nostra fame e sete di eternità. Teniamo presente che in Occidente l’Eucaristia è rappresentata da un segno o calice sopra il quale sta l’ostia. In Oriente è raffigurata diversamente: nel calice o sulla patena vediamo Gesù in forma di bambino in una mangiatoia, accanto a lui due angeli vestiti da diaconi, perché Gesù è insieme sommo sacerdote e sacrificio. Accanto al bambino è scritto: “Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il Salvatore”. Su di essa si posa la colomba dello Spirito Santo. L’evocazione del Bambino di Betlemme – e Betlemme significa “città del pane” – si ritrova anche nell’iconografia di alcune chiese romaniche dell’Europa occidentale: non è raro che un Gesù neonato avvolto nelle bende venga raffigurato come se fosse simile al pane. Tutto ciò ci ricorda costantemente che, come afferma il Concilio Vaticano II nella Costituzione sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium: «L’Eucaristia è la sorgente e il culmine della vita cristiana».

In Gesù, Dio discende dal cielo per arrendersi e offrire la sua vita eterna agli uomini di buona volontà. Certo, dobbiamo accettarlo e riceverlo. Questo è tutto il dramma della vita di Gesù, che continua oggi nel tempo della Chiesa, che è il suo Corpo mistico. Nel prologo al Vangelo di san Giovanni leggiamo: “E’ venuto dai suoi ei suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11): rinnegano Cristo! Celebrano l’Eucaristia in frastuono, clamore, volgarità, in totale assenza di santità e di fede, a volte vestiti indebitamente come se esprimessero disprezzo per Dio. Che tragedia tutti quei battezzati che non praticano la fede, che sono guidati dal nulla dei loro pensieri (cfr Ef 4,17)!

Allora, cari fratelli e sorelle, cos’è quest’Opera di Dio di cui abbiamo parlato all’inizio di questa meditazione e su cui siamo chiamati a lavorare? È opera di Dio credere in Colui che Dio nostro Padre ha mandato. “Credere” significa accettare Gesù Cristo così com’è, il Figlio di Dio! Crediamo considerando tutto ciò che Gesù ha sperimentato durante la sua vita, nella sua Morte redentrice, nella sua gloriosa Risurrezione dai morti, e nella sua gloriosa Ascensione al Cielo. Crediamo in Lui, Verbo incarnato e Dio che si è fatto uomo, ricevendolo nel sacramento della Santissima Eucaristia e adorando la sua divina Presenza nel Santissimo Sacramento dell’altare.

Quando stai in silenzio, dopo aver ricevuto la Santa Comunione, non pensare molto. Invece sii lì, alla presenza di Gesù, e digli: “Gesù mio, chi sono io per essere lì, in me?“, e nel tuo intimo, meravigliati e ammira. Sappiamo dai Vangeli quali parole pronunciò Gesù al momento dell’istituzione dell’Eucaristia la sera del Giovedì Santo: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. E adottiamo l’insegnamento dei Padri della Chiesa, in particolare di san Cirillo d’Alessandria, che professa la sua fede nella presenza reale e sostanziale di Gesù nell’Eucaristia: “Il corpo del Signore è vivificante” è veramente il corpo di la Parola di Dio Padre. Viene per purificarmi. Viene a deificarmi. Sto diventando ciò che ho ricevuto”.

E ora sappiamo quale fu la grande prova della notte della fede che S. Madre Teresa di Calcutta sopportò per cinquant’anni. Ha sempre creduto, ma è stata completamente privata di ogni consolazione. Davanti al Santissimo Sacramento esposto dell’Altare, le era difficile pregare, ha sperimentato l’aridità come tanti santi prima di lei: Santa Teresa d’Avila, Santa Teresa del Bambino Gesù, solo per citarne alcuni… Ma quando a Madre Teresa è stato chiesto: “Madre Teresa, come puoi amare queste persone abbandonate, escluse che tanto insultano la nostra sensibilità?”, la sua risposta è stata: “Grazie all’Eucaristia quotidiana, cioè alla Santa Comunione e all’Adorazione!”

Cari fratelli e sorelle, con l’aiuto della Beata Vergine Maria, Mediatrice di tutte le grazie, che ha dato il suo Figlio al mondo quando ha detto “Fiat – avvenga di me”, il giorno dell’Annunciazione, lavoriamo con coraggio per Dio, cercando prima di tutto il suo regno, confidando in lui.

Possa Nostra Signora di Medjugorje convertirci e aiutarci a compiere l’opera di Dio e benedirci tutti. Amen.


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