Era giovane, il Summorum pontificum, 14 anni appena compiuti. Ed era anche in salute, poiché da quel luglio del 2007, quando Benedetto XVI ha ridato il diritto di cittadinanza alla Messa di sempre, un’inaspettata vivacità è sbocciata anche nel nostro Paese. Numeri piccoli, certamente, ma che nel tempo sono andati poco a poco guadagnando fedeli, spazio e attrattiva. Chissà cosa ne sarà di loro dopo che il Summorum pontificum è stato riformato da Traditionis custodes, lettera apostolica sull’uso della liturgia romana anteriore alla riforma del 1970. Il documento è stato pubblicato ieri, nella memoria liturgica di Nostra Signore del Monte Carmelo, ed è una batosta per tutti coloro che nel vetus ordo avevano trovato un afflato liturgico nuovo.
Il testo era atteso, come era atteso un sostanziale superamento, qualcuno dice affossamento, del Summorum pontificum, ma forse non la radicalità di certe disposizioni: « Il vescovo, nelle diocesi in cui finora vi è la presenza di uno o più gruppi che celebrano secondo il Messale antecedente alla riforma del 1970» è chiamato ad accertarsi che «tali gruppi non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici». «Indichi – si legge ancora – uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi possano radunarsi per la celebrazione eucaristica», si specifica però «non però nelle chiese parrocchiali e senza erigere nuove parrocchie personali». Si rimarca poi che le letture debbano essere «proclamate in lingua vernacola», non in latino, dunque «usando le traduzioni della sacra Scrittura per l’uso liturgico, approvate dalle rispettive Conferenze Episcopali». A livello diocesano è poi disposta la nomina di un sacerdote, delegato vescovile, incaricato alla «cura pastorale di tali gruppi di fedeli», ma soprattutto che « proceda nelle parrocchie personali canonicamente erette a beneficio di questi fedeli, a una congrua verifica in ordine alla effettiva utilità per la crescita spirituale, e valuti se mantenerle o meno». Non è consentito autorizzare la costituzione di nuovi gruppi e i sacerdoti ordinati da oggi in poi che intendono celebrare in rito antico «devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica». Per quanto riguarda chi è già ordinato e già celebra secondo il Missale Romanum del 1962 «richiederanno al Vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare ad avvalersi della facoltà». Il documento termina specificando che «Le norme, istruzioni, concessioni e consuetudini precedenti, che risultino non conformi con quanto disposto dal presente Motu Proprio, sono abrogate».
Non sembra esserci molto spazio per l’interpretazione dunque. Per usare un eufemismo possiamo dire, senza paura di smentite, che è un filino disincentivata qualunque attività legata al Summorum Pontificum. Chissà che cosa ne pensa Benedetto XVI, che pur Emerito, vive, per giunta tra le mura vaticane.
Ma «c’è del buono in questo mondo», scriveva Tolkien, ed «è giusto combattere per questo»: come dice il cardinal Robert Sarah, già prefetto per il Culto Divino, in una lunga intervista sull’ultimo numero del Timone, «si è avviato nella Chiesa un cammino di riforma liturgica e spirituale che, seppur lento, sarà irreversibile. C’è una nuova generazione che si è affacciata nella Chiesa, di giovani, di giovani famiglie, che nonostante taluni atteggiamenti clericali intransigenti di opposizione alla venerabile Liturgia latino-gregoriana, questa Liturgia ha un futuro perché ha un passato, una storia di santità e bellezza che non si può cancellare né abolire da un giorno all’altro».
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