La notizia è stata subito rilanciata dalle principali testate, con titoli molto simili perché il concetto è in sé molto semplice: a quanto pare, a settembre si tornerà a scuola con le mascherine, assieme ad altre misure utili per mitigare il contagio tra la popolazione studentesca, il corpo insegnante e tutte le altre figure implicate a vario livello. Ad esprimersi in tal senso è stato il generale Francesco Paolo Figliuolo, commissario straordinario per l’emergenza Covid. E la sua affermazione ha da un lato gelato tutti quei docenti, alunni e genitori che speravano di poter vedere aprirsi il nuovo anno scolastico secondo delle nuove impostazioni; mentre dall’altra è andata ad alimentare un fronte polemico, con i Sindacati che non hanno mancato di far sentire la propria posizione critica rispetto alla decisione.
Naturalmente, mancando ancora circa tre mesi al ritorno sui banchi, si tratta di una affermazione che dovrà superare le prove dell’estate e che dovrà essere quindi confermata anche dal Comitato Tecnico Scientifico (Cts), ma per intanto è stata gettata nel tritacarne mediatico e, se vi saranno dei passi indietro sulla decisione, non saranno che accolti con favore, altrimenti «lo si sapeva già da giugno».
MASCHERARE LE EMOZIONI
Accanto a questa, un’altra notizia merita di essere ripresa. Su Frontiers in Psychology è stata infatti una ricerca italiana, presentata come la prima sul tema, dal titolo: Mascherare le emozioni: le maschere per il viso compromettono il modo in cui leggiamo le emozioni. A condurla è stato l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, sotto la guida di Monica Gori, e ha coinvolto 119 persone di età differenti: 31 bambini tra i 3 e i 5 anni, 49 bambini tra i 6 e gli 8 anni e 39 adulti tra i 18 e i 30 anni. Com’era presumibile, i risultati sono stati differenti in base all’età anagrafica dei partecipanti e, seppur sia stato colta una difficoltà generalizzata, è altresì vero che i più penalizzati sono proprio i più piccoli: «[…] una maschera che ostruisce un volto limita la capacità delle persone di tutte le età di dedurre le emozioni espresse dai tratti del viso», riporta infatti l’Abstract, «ma le difficoltà legate all’uso della maschera sono significativamente pronunciate nei bambini di età compresa tra i 3 e i 5 anni». E questo alla luce del fatto, acclarato nel mondo scientifico, che la prima infanzia «è considerata un periodo critico per lo sviluppo della comprensione delle emozioni e dell’elaborazione delle emozioni (Denham et al., 2003)». I numeri sono piuttosto chiari: la ricerca ha evidenziato che solo il 40% delle volte i bambini in questa fascia d’età riescono a riconoscere le emozioni che si celano dietro le mascherine. E, appunto, anche se il problema si attenua con la crescita dei bambini, esso comunque non scompare, perché «lo sviluppo del ragionamento emotivo e, in particolare, l’inferenza degli stati emotivi dall’osservazione del volto, continua a svilupparsi dall’età prescolare all’infanzia e all’adolescenza (Herba et al., 2006)».
Accanto alla messa in luce di criticità legate al tempo presente, il team guidato dalla Gori ha rivolto lo sguardo anche al futuro: «Questi risultati sono di importanza essenziale», si legge ancora nell’Abstract, «in quanto suggeriscono che viviamo in un’epoca che potrebbe potenzialmente influenzare lo sviluppo del ragionamento sociale ed emotivo, e le future abilità sociali dei bambini piccoli dovrebbero essere monitorate per valutare il vero impatto dell’uso delle maschere».
Certo, si tratta solamente di una prima ricerca, peraltro condotta su un campione non molto vasto. Tuttavia è un tassello che va a confermare quanto già detto fin dalla primavera del 2020 da personalità di spicco nel mondo della pedagogia, della psicologia, piuttosto che delle neuroscienze. La speranza è che si possa implementare la ricerca in tale direzione, nell’ottica di riuscire a guardare grandi e piccini secondo un’ottica integrata, che tenga conto certamente del Covid-19, senza pur tuttavia dimenticare altri aspetti fondamentali del vivere e del crescere quotidiano.
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