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Medio Oriente sotto le bombe: tra lotte di potere, palestinesi abbandonati e comunità internazionale latitante
NEWS 15 Maggio 2021    di Giulia Tanel

Medio Oriente sotto le bombe: tra lotte di potere, palestinesi abbandonati e comunità internazionale latitante

In questi ultimi giorni si è ravvivato l’annoso scontro tra Israele e i palestinesi, che tanto è costato, e sta costando, anche in termini di morti registrati tra la popolazione civile.

Un ripetuto accendersi di violenze che, scrive in un comunicato il Patriarcato latino di Gerusalemme, «violano la santità del popolo di Gerusalemme e quella di Gerusalemme come Città della Pace». E soprattutto che non tengono in considerazione della dignità di cui ogni persona è portatrice, sia essa israeliana e palestinese, in un’ottica di giustizia che vuole rispettati e sostenuti i diritti di tutti.

Il Timone ha parlato di questi temi con il giornalista Fulvio Scaglione (foto a lato), ex vicedirettore di Famiglia Cristiana, con la quale ad oggi collabora, accanto ad altre testate online, ed esperto di Medio Oriente.

Dottor Scaglione, qual è a suo avviso la radice ultima degli scontri che, purtroppo periodicamente, si accendono in Medio Oriente?

«La radice ultima è sempre il potere, nelle sue diverse declinazioni: soldi, risorse, posizioni strategiche, alleanze. In Medio Oriente tutto questo è cominciato con la fine della Prima guerra mondiale, cioè con l’uscita della regione dal controllo dell’Impero Ottomano, l’ingresso “ufficiale” delle potenze occidentali e la scoperta del petrolio. La grande spartizione decretata dal Trattato anglo-francese Sykes-Picot non ha mai smesso di agire, anche se con protagonisti e condizioni di volta in volta mutevoli. Per fare un solo esempio: il Trattato prevedeva che la Palestina fosse una zona franca sottoposta ad amministrazione internazionale. Gli inglesi, veri padroni in quel momento del Medio Oriente, decisero invece di impossessarsene e di favorire il ritorno degli ebrei che volevano usare come “vassalli” del loro potere. Sbagliarono clamorosamente i calcoli e sappiamo com’è poi andata. Tra quegli intrighi e l’invasione anglo-americana dell’Iraq del 2003, per fare un sintetico excursus, non c’è alcuna differenza. Così come non c’è differenza sostanziale tra l’uso che gli inglesi volevano fare dei sionisti nel 1916 e l’uso che gli Usa fanno oggi dei sauditi. La storia è sempre quella».

In mezzo a questi scontri ci sono i palestinesi: i grandi dimenticati?

«Oggi sì. Più che dimenticati, abbandonati. D’altra parte fa comodo a tutti. Ai Paesi arabi, che non vedono l’ora di mollare questa zavorra e dedicarsi agli affari con gli Usa e Israele. Alle sinistre europee, che dal crollo del Muro di Berlino cercano solo di accreditarsi come “moderate” presso i potentati finanziari internazionali e vogliono occuparsi solo dei profughi “comodi”, redditizi in termini di audience, e non più di profughi spesso brutti, sporchi e cattivi come i palestinesi. Agli Usa, per i quali Israele è la portaerei nel Medio Oriente. All’Europa, che è un nano politico e non può cimentarsi con cause così difficili, che richiederebbero chiarezza di scelte, coraggio (bisognerebbe un po’ opporsi a Israele e agli Usa…), lungimiranza. Abbiamo visto anche adesso cosa succede in Italia: tutti a parlare della folle strategia di Hamas e dei razzi (giusto), nessuno a ricordare come vivono ogni giorno i palestinesi qualunque, i “signori Rossi” della Palestina, sia a Gaza sia nelle condizioni di discriminazione apparecchiate da Israele».

E, in tutto questo, che ruolo riveste la Comunità internazionale?

«La comunità internazionale è un’astrazione. Incapace e impotente se pensiamo in termini istituzionali: da decenni sentiamo ripetere all’Onu e altrove le stesse formule (“gli insediamenti sono illegali”, per esempio) in una miriade di risoluzioni che non cambiano di un millimetro la situazione sul terreno. Ancor peggio se per “comunità internazionale” intendiamo un insieme di intenzioni basate su un insieme di convinzioni e di valori. Non a caso George Bush inventò la “coalition of the willing“, la “coalizione di chi ci sta”, formula poi replicata dai suoi successori».

(Fonte foto in evidenza)


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