In gergo giornalistico potremmo dire che non c’è la notizia. Ma essendo ormai immersi in un mondo in cui il linguaggio capovolge la percezione della realtà, anche una “non notizia” può diventare tale. Si parla di depressione post partum dopo parti del tutto eccezionali, ovvero quelli delle cosiddette madri surrogate, donne che prestano il loro utero e il loro corpo per soldi e portano nel proprio grembo un bambino che poi cederanno a terzi.
La notizia diventa tale poiché nelle scorse settimane è stata ripreso dalla stampa americana lo sfogo di Julie Loving, cinquantaduenne “mamma surrogata” di “suo nipote”, che ha ammesso di essersi sentita sopraffatta da ansia e depressione in seguito al parto. Ma andiamo con ordine. Della vicenda avevamo parlato qualche mese fa, Julie è la mamma di Breanna Lockwood, un’influencer americana 28enne che aveva condiviso sul suo account Instagram i suoi numerosi e purtroppo vani tentativi di rimanere incinta: «476 iniezioni, 64 prelievi di sangue, 7 procedure chirurgiche, 3 round di raccolta degli ovuli, 19 embrioni congelati, 8 trasferimenti di embrioni congelati con fecondazione in vitro, 4 trasferimenti di embrioni falliti, 1 aborto spontaneo, un aborto gemellare, una gravidanza extrauterina, innumerevoli lacrime». Contestualmente la donna aveva annunciato ai suoi oltre 150 mila follower con tanto cuoricini, emoticon commosse e scatto di rito che avrebbe fatto ricorso alla cosiddetta maternità surrogata grazie a sua mamma che si era offerta di portare in grembo suo figlio, concepito con fecondazione artificiale. Una nonna che partorisce il nipote? Una donna che avrà per figlio suo fratello? Una mamma che cede il figlio a sua figlia?
Le domande si moltiplicano, certo è che quella felicità ostentata con l’annuncio di qualche mese fa, lascia ora il posto a ben altre parole. «Mia madre ha avuto ondate di forte ansia post partum, forse anche una depressione. L’ansia diventava pesante di notte, piangeva e aveva paura, non riusciva a spiegarlo. Nausea. Nausea così forte seguita da più ansia e paura di vomitare e usare quei muscoli dello stomaco», ha dichiarato l’influencer. Rincara la dose sua madre, nonché “mamma surrogata”: «Non riesco a spiegare esattamente cosa abbia causato l’ansia. Ho anche provato un sacco di nausea, ho avuto paura di ammalarmi seriamente e di provare molto dolore, forse è stato anche a causa del Cesareo con cui è nato il bambino. Prima della gravidanza ero in menopausa e non era preparata per quel grande calo di ormoni dopo il parto. Non ho pensato ai postumi» – ha dichiarato aggiungendo che vorrebbe contribuire a sensibilizzare le persone sul tema della depressione “post parto da surrogata”.
Che dire? Basterebbe il buon senso, non ci sarebbe bisogno di altro per sapere che se la depressione post partum in generale è un problema serissimo che devono affrontare molte neo mamme, ancor più ne sono soggette coloro che partoriscono un bambino in modo così anomalo, spesso un bambino con cui non si ha legame biologico, concepito in laboratorio dopo un bombardamento ormonale, dal quale per contratto ci si deve staccare entro poche ore. Amaro constatare persino le agenzie che fungono da intermediarie per il contratto riconoscano questo rischio e nero su bianco: «La responsabilità del recupero ricade principalmente sulla madre surrogata. (…) Se la sua depressione post partum dura per più di 2 settimane, allora dovrebbe parlare con la sua ostetrica o con il medico. Potrebbero consigliarle di sottoporsi a test e farmaci per affrontare la sua forma più grave di depressione postpartum». Ancora una volta la mamma viene lasciata sola, non ci sono clausole del contratto che tengano. Quello che conta è la firma sul contratto, il pagamento e la consegna del prodotto. Come se non fosse un bambino.
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