Sono passati 60 anni da quando alla base spaziale di Baikonur, URSS, il cosmonauta Yurij Gagarin, 27 anni, entra nel primo stadio del razzo Vostok 1. Il suo polso passa in modo anomalo da 64 a 157 battiti al minuto, conscio di avere solo una possibilità su due di sopravvivere. Esclama semplicemente: «Poyekhali!» (“Partenza”).
Erano le 9:07, ora di Mosca; Yuri Gagarin stava per girare nello spazio per 108 minuti prima di tornare, vivo, sulla Terra. «Il cielo», comunica mentre è in orbita, «lo vedo nero, totalmente nero, e vedo la Terra azzurra sotto di me. Lungo l’orizzonte c’è una striscia di un arancione brillante che poi assume una sfumatura d’azzurro, e poi passa al nero. Quello che mi colpisce di più è quanto sembra vicina la Terra, anche da questa altezza. Il panorama è assolutamente bello e nuovo… la superficie terrestre cambia colore mentre viene illuminata dal cielo nero, dove posso vedere benissimo le stelle». Yurij Gagarin divenne un «Eroe dell’Unione Sovietica», decorato con l’ordine di Lenin e inviato ai quattro angoli del “paradiso comunista” e intorno al mondo per lodare il modello russo.
Yurij Gagarin è nato il 9 marzo 1934 nel villaggio di Klušino, nella provincia di Smolensk. Era un pilota dell’aviazione russa, con un curriculum ideale per il programma spaziale russo. Il padre era un artigiano e la mamma contadina, sposato con una infermiera di un anno più giovane di lui. E all’epoca del suo storico volo orbitale, Jurij era padre di due figlie, Elena e Galina, nata da poco più di un mese. In questa vita, piena di sorprese, l’eroe baciato (sulla guancia) da Gina Lollobrigida vivrà a cento all’ora, sfuggirà miracolosamente a molti incidenti automobilistici e morirà all’età di 34 anni, il 27 marzo 1968, precipitando con il suo caccia Mig-15 alle 10.18 del mattino durante un volo d’addestramento vicino a Mosca; secondo i rapporti, perse il controllo eseguendo una manovra brusca, ma, mezzo secolo dopo, le circostanze di quell’evento sono ancora avvolte nel mistero.
Si dice che a causa delle sue origini agricole in parte collettive, Gagarin fosse preferito per il volo orbitale al suo compagno Titov, che proveniva dalla classe media. Gagarin incarnava meglio, per la propaganda, un ideale di uguaglianza sovietica. «Non vedo nessun Dio quassù». È una delle frasi più famose di Gagarin. Ma lui non la pronunciò mai. Lo confermò alcuni anni fa Valentin Petrov, ex cosmonauta, sostenendo che Gagarin, battezzato nella Chiesa Ortodossa, era credente. Un fatto, quest’ultimo, confermato anche dal suo amico Alekseij Leonov, altro cosmonauta. La stessa figlia Elena venne battezzata e la famiglia celebrava sempre Natale e Pasqua. La sua casa era piena di icone religiose.
Ogni anno, il volo di Gagarin viene celebrato con devozione in tutta la Russia, fiori vengono deposti ai piedi dei numerosi monumenti alla sua gloria. E questo venerdì, 9 aprile, due cosmonauti della Russia, Oleg Novitsky e Piotr Doubrov, e un astronauta americano, Mark T. Vande Hei, sono decollati da Baikonur, in Kazakistan, come Gagarin a suo tempo, nel loro razzo Soyuz MS. 18, per la Stazione spaziale Internazionale (ISS). Ovviamente hanno anche il compito di onorare il 60° anniversario della sua impresa. «Lo festeggeremo insieme», ha detto Doubrov, prima di partire. Il razzo, battezzato “Yuri Gagarin”, è partito alle 7.42, adornato, per l’occasione, dei ritratti bianchi e blu dell’illustre pioniere.
Gagarin, questo piccolo, grande uomo, era alto meno di un metro e sessanta, chiamato “il Cristoforo Colombo dello spazio”, ha fatto sognare imprese e superamenti. La sua immagine venne offuscata dalle tensioni della Guerra Fredda a beneficio di Armstrong, il conquistatore lunare, ma grazie alla sua missione, l’Unione Sovietica segnò il temporaneo sorpasso sugli Stati Uniti nella corsa verso la frontiera spaziale. La data dell’impresa di Gagarin è stata scelta dalle Nazioni Unite per festeggiare la Giornata internazionale del volo umano nello spazio
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