Parlare sempre bene dei morti non è facile. Quando non ci si riesce si può optare per un laconico comunicato di addio glissando, diciamo così, sulle ombre del suo pensiero. Insomma, di modi per uscirne a testa alta ce ne sarebbero, ma la Pontificia Accademia per la Vita deve aver deciso di rischiare il ridicolo quando ha pensato che il modo migliore per salutare il teologo Hans Kung fosse quello di definirlo un grande teologo. E non solo, ma per giunta un teologo le cui idee devono far riflettere la Chiesa.
Nientemeno. Nel tweet di saluto alla notizia della scomparsa del pensatore fu cattolico la PAV ha detto che «scompare davvero una grande figura nella teologia dell’ultimo secolo, le cui idee e analisi devono fare sempre riflettere la Chiesa, le Chiese, la società, la cultura». Non proprio quello che si dice un commiato freddo. Se la Chiesa deve riflettere su Kung e quindi anche la Pontificia Accademia per la Vita, perché allora non cominciare dalle sue dichiarazioni di rottura sull’eutanasia?
Scompare davvero una grande figura nella teologia del’ultimo secolo, le cui idee e analisi devono fare sempre riflettere la Chiesa, le Chiese, la società, la cultura. https://t.co/o9fj1xZ5JU
— Pontifical Academy Life (@PontAcadLife) April 6, 2021
Sul tema, l’ex professore di Tubinga non si può certo dire che avesse posizioni aderenti a quello che è il Magistero della Chiesa sul tema vita e che l’accademia presieduta da monsignor Vincenzo Paglia dovrebbe guidare. Ma la PAV, si sa, sul tema vita e affini in questi anni ci ha abituato a capovolgimenti non indifferenti, come per le parole ambigue sull’aborto in day hospital oppure per i tentennamenti sui casi di Alfie Evans e Vincent Lambert. E sull’eutanasia si scivola ancora, dato che Kung aveva dedicato al tema molto del suo tempo, ovviamente parlandone a favore. Nel suo saggio del 2014 “Morire felici” Kung affermava appunto il diritto all’autodeterminazione eutanasica riuscendo a scrivere pagine sulla sacralità della vita e contemporaneamente a ribadire di voler «scegliere con la mia responsabilità quando e come morire» e a dire che la dolce morte aveva anche un fondamento cristiano. E per giunta, all’epoca si scoprì anche che il “teologo” svizzero era iscritto all’associazione Exit, che porta avanti la battaglia dell’eutanasia libera per tutti.
Nel ‘94, aveva detto cose simili parlando del morire con dignità. Insomma, Kung dopo aver picconato sul “rigorismo impietoso” del Magistero e bacchettato l’estremismo fanatico della Chiesa su contraccezione, inseminazione artificiale, aborto e diagnosi pre-natale, nella parte finale della sua vita, non poteva non occuparsi anche di eutanasia, come farebbe un vecchio guru qualunque del radicalismo pannelliano, tutta gente che, come Kung, è poi morta nel proprio letto perché un conto è la teoria e un altro la prassi. Comunque, con dichiarazioni di questo tipo, ascoltate, anzi molto ascoltate anche in alcuni importanti ambienti del mondo cattolico, non si poteva certo dire che Kung non fosse una di quelle che il codice della strada chiama “curve segnalate”.
Eppure, monsignor Paglia ha pensato bene di concedere a Kung l’onore di essere definito, da un’istituzione vaticana che dovrebbe più di tutti combattere la cultura dello scarto, come un grande teologo e per giunta uno le cui idee dovrebbero far riflettere la Chiesa. E con la Chiesa anche «le chiese» e «la cultura», come se tutte ormai fossero unite da un pensiero unico. Riflessi pavloviani, ormai, di un cascame post conciliare che si è incrostato nell’ideologia del relativismo. Questa sì che è cultura dello scarto, nel senso che va proprio scartata e gettata nel cestino. Un requiem aeternam per accompagnare Kung non bastava?
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