Se sarà una rivoluzione come quella dell’introduzione del Servizio Sanitario Nazionale, come preannunciato dal dem Graziano Delrio, è presto per dirlo. E soprattutto dipenderà da quanto verrà caricato dentro. Come in tutte le cose la differenza la fa sempre il “vil” denaro. Che in questo caso però è un denaro speso bene perché l’Assegno Unico approvato con legge delega martedì in Senato, rappresenta finalmente una ventata di aria fresca dopo anni di languore delle politiche famigliari nel nostro paese. Anni in cui la famiglia è stata considerata come una Cenerentola alla mercé dei ricatti e degli opportunismi.
Pollice verso, dunque, per l’assegno unico che consente finalmente di avvicinarci – av-vi-ci-nar-ci! – allo standard europeo dove un figlio non è un peso ma una ricchezza per il Paese. Se l’assegno unico contribuirà a iniziare a invertire la dolorosa curva demografica però, dipenderà da tanti fattori, molti dei quali non dipendono neppure dallo strumento appena votato in Parlamento. Come sappiamo dipende anzitutto da una predisposizione, una cultura della vita, di cui dovrebbero essere maggiormente portatori gli uomini e le donne di oggi e che purtroppo manca. Poi, certamente, una parte di responsabilità ce l’ha anche la povertà nella quale versano le famiglie italiane e qui, sicuramente, l’assegno unico approvato all’unanimità da tutti i partiti dell’arco costituzionale potrà dire la sua.
Che al momento però, non è sufficiente per cantare vittoria. Il motivo? Presto detto: è numerico. I 250 euro figlio/mese annunciati da Draghi non saranno raggiunti con le attuali disposizioni. Attualmente infatti – la fonte è il deputato Pd Stefano Lepri, relatore e padre con Delrio della legge – le disponibilità economiche per questa misura, che accorperà assegni famigliari, detrazioni e tutti i bonus sparsi attualmente, sono di appena 20 miliardi: 14 miliardi stanziati per tutti gli interventi in vigore fino ad ora e 6 miliardi aggiuntivi. Per la verità, quest’anno i miliardi sono solo 3 perché il provvedimento partirà a luglio, ma dal 2022 saranno 6. Comunque, il totale fa 20.
Bene: con l’estensione, più che giusta, del beneficio alle partite iva fino a ieri escluse dall’assegno famigliare, si allarga il monte dei beneficiari e si dovrebbe riuscire a garantire una media di 160 euro a figlio a fronte dei 100 euro fino a oggi. Insomma: il beneficio per una famiglia ammonterebbe a circa 50 euro al mese a figlio. A spanne, fanno circa 600 euro all’anno. Non è male, anzi, è una cifra significativa, infatti il provvedimento va salutato con favore, ma così come è strutturato rimane comunque un intervento di politica assistenziale e non di politica famigliare. Anche perché per la valutazione del beneficio si utilizza lo strumento del meccanismo Isee, che non è equo per tutte le famiglie e che andrebbe migliorato proprio tenendo conto diversi fattori che oggi non vengono considerati.
Perché sia un intervento di politica famigliare servirebbero due cose: uno strumento di definizione della situazione economica della famiglia più equo dell’Isee, che non sia neutro nel trattare il rapporto reddito/patrimonio e soprattutto più soldi. Quanti? Lepri ha stimato almeno 3 miliardi per arrivare ai 250 ipotizzati da Draghi. La palla ora passa al governo che dovrà trovarli se non vuole fare la figuraccia di ritornare sui suoi passi e erogare meno di quanto ha promesso. Una volta risolto questo scoglio, la sfida più grande, però, che si aspettano le famiglie, è una rivoluzione fiscale che tenga davvero conto dei carichi famigliari: fattore famiglia, quoziente famigliare, flat tax. È stata chiamata in molti modi, ma la sostanza è sempre quella: la famiglia è un motore, non un freno. Tenere frenato il motore produce solo ingolfamento.
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