Cosa ho imparato il primo giorno di primavera in zona rossa leggendo Confessioni di una radical chic pentita, prima fatica letteraria di Serena Di, appena uscito per la collana Uomo Vivo di Berica Editrice:
- Anche i Radical Chic piangono, anche i Radical Chic si pentono. Qualcuno ha anche il coraggio di ammetterlo. Qualcuna addirittura osa metterlo nero su bianco. Ed è una notizia. Perché un conto è il non detto, un conto è il sapere che non saranno i week end a Santa, le sedute di coaching, il pullover di cachemire rigorosamente portato a contrasto in stile finto povero o la dedizione al femminismo, all’ecologismo e l’abolizionismo a fare la felicità, un conto è vederlo scritto. E soprattutto poterlo regalare ad un Radical Chic non pentito.
- Tutti noi siamo stati traumatizzati da una – o più – insegnanti Radical Chic. L’ho realizzato scorrendo le pagine del libro e sovrapponendo di volta in volta i volti dei miei prof di lettere, di filosofia, di religione e persino di matematica alla figura della professoressa Lazoppins che non perde occasione di ricordare ad una Serena Di alunna di scuola media che, ça va sans dire, «la religione è pura superstizione e la cultura è solo di sinistra» .
- Tutti noi siamo stati, un po’, in fondo, Radical Chic. Perché a forza di sentirti dire ogni giorno da pulpiti diversi le stesse identiche cose cresci bevendotele come una spugna. E quindi ti convinci che il primissimo obiettivo di una donna sia “l’indipendenza” (ma da cosa, poi? Che quando iniziano a dirtelo sei ancora alle elementari), che il matrimonio sia un retaggio del Medio Evo, che il Medio Evo sia un’epoca buia e che la maternità sia una zavorra pesantissima che ostacolerà la tua realizzazione personale. Che ovviamente deve consistere solo e unicamente nel lavorare come se non ci fosse un domani. Possibilmente sottopagata perché del denaro non deve certo importarti, è la “cultura” che conta.
- Ci salveranno le nonne. Quando senti che stai per affondare, quando, ormai sulla soglia dei trent’anni nel silenzio del tuo appartamento da single con i cassetti riordinati alla Marie Kondo, ti viene un attacco acuto di Bridget Jones e disperata inizi a chiederti che senso ha la tua vita (e perché le istruzioni Radical Chic che hai seguito così minuziosamente non ti hanno condotto alla felicità), provvidenzialmente il tuo inconscio ti restituirà gli insegnamenti della nonna. Non importa se la tua o quella di qualcun altro, è sempre una nonna. Per Serena Di è stata la nonna Elvira, che recita il Rosario, che va alla Messa e ci porta le nipoti, che dispensa consigli di saggezza che oggi si pagano 80 euro all’ora dal life coach.
- Anche i Radical Chic alla fine capitolano, si sposano, fanno figli e riconoscono che la vocazione familiare non è quel giogo terribile che temevano, capiscono che appartenere a qualcuno non è un crimine contro il dogma dell’indipendenza ma il compimento di una vita. Quel “Di”, cognome dell’autrice, non è un modo di nascondersi dietro uno pseudonimo ma proprio un segno di appartenenza a quel Dio che oggi va tanto di moda buttar fuori dal discorso sociale, figuriamoci da quello personale.
Autrice, redattrice, copywriter, Serena Di si è ubriacata di lavoro tra studi televisivi e redazioni di riviste, ha frequentato i salotti buoni ostentando sicurezza tra brainstorming interminabili e sermoni sugli «analfabeti funzionali» che osano muoversi in direzione contraria al mainstream. Poi ha ricominciato a pensare con la propria testa. Ha incontrato un americano che non sa far la spesa ma che è diventato strumento di Dio nella sua vita. E oggi è una mamma felice.