Se a una donna povera e in gravidanza, per di più madre già di tre figli, ammalatasi di Covid con sintomi pesanti fosse oggi consigliato di abortire, che cosa si sarebbe portati a pensare? Ma che lei accetti il suggerimento, ovvio: possibilmente pure in fretta. Anzi, la sola idea che una donna in simili condizioni possa decidere di continuare la gravidanza, verrebbe da alcuni considerata alla stregua di un colpo di testa, di un deprecabile atto di autolesionismo, se non addirittura di un tentato suicidio. Ebbene, la storia di Matilde Egüez, signora boliviana di 36 anni, è interessante proprio per questo: perché si colloca agli antipodi delle aspettative della cultura dominante.
Sì, perché la signora, che col marito Juan Carlos vive a Montero, comune di 100.000 abitanti nella Bolivia centrale, era precisamente nella situazione appena descritta: già madre di tre figli, era in attesa di un quarto quando si è trovata a dover fare i conti con il coronavirus. Che inizialmente, come spesso capita, non era granché aggressivo. Poi però le cose sono peggiorate e la signora Matilde è stata ricoverata, entrando presto in crisi respiratoria. Le sue condizioni erano evidentemente critiche, e pure molto. Tanto che i medici, nel tentativo di salvarla, le hanno indicato con chiarezza una strada: abortire la bimba che da cinque mesi stava portando in grembo.
«Ma io di sacrificare la mia bambina», dirà poi la donna, «non ci ho pensato neppure un momento». Di fronte al diniego della gestante, i medici hanno deciso di ricoverarla d’urgenza ad un ospedale a Santa Cruz de la Sierra, provvisto di una buona unità di terapia intensiva. Morale: dopo due mesi di intubazione, conditi da due arresti cardiaci, alla fine Matilde ha partorito la piccola Ruth. Ed è stata gioia. «Sono grata a Dio per avermi dato una nuova opportunità di vivere», dirà infatti la donna. Che era felicissima per esser riuscita a mettere al mondo quel quarto figlio nonostante il Covid e le difficoltà comunque rimaste all’orizzonte.
Al termine della sua eroica impresa, infatti, Matilde Egüez è tornata da dov’era venuta: nella triste periferia Montero, in una casa di cartone senza acqua né luce e dove in sei sono costretti in appena tre letti. Ciò nonostante, la donna e il marito erano contenti per essere riusciti a far crescere il loro nucleo. Dall’alto, Qualcuno deve però essersi preso a cuore la vicenda di questa famiglia. Così, dopo la nascita quasi miracolosa di Ruth, a Juan Carlos e Matilde è capitato un altro evento incredibile: la storia di quanto capitato loro ha iniziato a circolare sui media locali, mettendo in modo la solidarietà dell’intera comunità.
Ecco che allora in un giorno non casuale – la mattina del 24 dicembre dello scorso anno -, quando questa famiglia boliviana si apprestava ad affrontare il Natale senza potersi permettere alcuna particolare cena, alla porta della loro povera casa hanno iniziato a materializzarsi, e in abbondanza, varie cose: pacchi carichi di cibo, latte, pannolini, giocattoli, vestiti. Persino contanti. «Stavamo per trascorrere questo Natale come qualsiasi altro giorno, non perché non ci importasse, ma perché non potevamo permetterci una cena», è il ricordo della donna, «quando una inaspettata campagna di solidarietà non solo ci ha cambiato il Natale, ma grazie ai soldi ricevuti ci consentirà di recarsi a Santa Cruz de la Sierra per affidarci ad un pediatra per curare la piccola perché ha problemi di salute».
Ora, in un mondo normale la storia di Matilde Egüez attirerebbe ben più dei media boliviani; finirebbe tra i primi titoli dei telegiornali, al centro dei talk show, ispirerebbe scrittori e registi, probabilmente finirebbe ad Hollywood. Dato che però, lo sappiamo bene, questo non è un mondo normale – soprattutto, non è un mondo giusto -, l’eroismo di questa madre boliviana rischia di restare, se non sconosciuto, certo non apprezzato come dovrebbe. Ma questo nulla toglie alla grandezza della sua testimonianza attraverso la quale, in un tempo in cui si parla tanto dell’importanza della donna, è stata scritta una straordinaria pagina di femminilità, di apertura alla vita e, in ultima analisi, d’amore.
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