«Aborto farmacologico una conquista da difendere». Così recita, apertis verbis, il manifesto su un camion vela dell’UAAR – acronimo che sta per Unione Atei Agnostici Italiani – che, martedì, ha stazionato diverse ore davanti al Liceo Giulio Cesare di Roma. Una tappa evidentemente non causale, quella del camion vela ateo, alla luce dei forti attacchi vibrati in questi giorni all’indirizzo della professoressa Paola Senesi, la preside dell’Istituto, rea di aver ricordato che è necessario il consenso informato da parte dei genitori allorquando, in classe, vengono toccati temi eticamente sensibili, quali appunto quelli relativi all’aborto, all’identità di genere e alle teorie LGBT.
Di qui l’iniziativa dell’UAAR, che lascia quanto meno perplessi i militanti pro life. Il Timone ha avvicinato Maria Rachele Ruiu di ProVita&Famiglia, che ritiene questo camion vela veicolo di un messaggio totalmente fuorviante nella misura in cui si presenta la pillola abortiva quasi come un prodotto innocuo, che «evita il ricovero ospedaliero e l’operazione chirurgica». «C’è una violenza contro le donne in questo manifesto», spiega Ruiu al Timone, «nessuna donna sceglie di abortire, le donne abortiscono quando pensando di non poter fare altrimenti. Negare questo é violento».
Anche Jacopo Coghe, che di ProVita&Famiglia è il Vicepresidente, appare colpito da questa iniziativa. Ma non troppo. «Pubblicità di questo tipo l’UAAR ne ha sempre fatte», ricorda, «per cui questo camion vela mi stupisce, ma non più di tanto. Queste sono le cose che insegnano nelle scuole ai nostri figli – a nostra insaputa – le femministe, che vengono a vendere menzogne e falsità». «La cosa davvero impressionante», sottolinea inoltre Coghe, «è rivendicare l’aborto, quindi la soppressione di un essere umano, come una conquista da difendere. La realtà sulla Ru 486 è che si tratta di un veleno, come abbiamo ricordato con la nostra campagna».
In effetti, è difficile non associarsi alla perplessità di Ruiu e Coghe sull’iniziativa targa UAAR. Non attenzione, per ragioni di fede e neppure valoriali, ma di scienza. A tal riguardo, la docente universitaria Assuntina Morresi e la giornalista e politica Eugenia Roccella, in La favola dell’aborto facile (FrancoAngeli) – un libro di una quindicina di anni fa, ma ancora estremamente attuale – sulle conseguenze dell’aborto chimico, a proposito degli «effetti collaterali usualmente» osservati parlavano di «vomito, nausea, diarrea, dolori addominali, crampi, abbondanti perdite di sangue, e poi emicrania, febbre, vertigini […] I dolori e le perdite di sangue sono i meno tollerabili, quelli a cui può seguire una visita medica non programmata».
Purtroppo, Morresi e Roccella non esageravano. Come loro e più di loro è infatti la letteratura medica specialistica a sottolineare, per la verità ormai da anni, che l’aborto chimico presenta un tasso di mortalità dieci volte superiore a quello chirurgico (N Engl J Med 2005), che provoca dolori, nausea e debolezza, con crampi quasi nel 94% dei casi (Obstet Gynecol 2005) e che almeno una volta su due costringe le donne che vi ricorrono alla sconvolgente vista del feto abortito (Br J Obstetr Gynaecol, 1998). Di questi dati di fatto, evidentemente, non c’è traccia nella nuova campagna degli atei militanti. Che, oltre a non aver fede in Dio, devono averne poca anche nella ricerca scientifica, se riescono a scorgere qualcosa di rassicurante nelle risultanze poc’anzi ricordate e che nessuno, finora, ha mai potuto contraddire.
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