Il 2020, e con ogni probabilità anche il 2021, passerà alla storia sì come l’anno che ha visto l’esplodere del Covid-19 a livello mondiale, con le conseguenti messe in atto di misure “anti-contagio”, ma probabilmente anche come l’anno che ha visto l’apice del processo di introduzione delle nuove tecnologie in ogni ambito e in ogni minuto del quotidiano: dalla didattica a distanza, allo smart-working, alle conferenze in streeming, agli incontri più o meno formali su piattaforme varie… nel 2020 il fatto di avere una connessione internet, possibilmente stabile, è diventato un imprescindibile.
Di fatto, la reazione al fatto di non poter uscire è stata quella di portare il mondo esterno, o almeno parte di esso, dentro le case. E se questo può aver apportato determinati vantaggi, almeno per alcuni, è altresì vero che si è trattato di una “invasione” che molte persone e famiglie hanno faticato, e faticano tutt’ora, a gestire: sono saltati i confini, gli spazi virtuali sono dilagati a macchia d’olio all’interno delle abitazioni e delle vite private.
È di questa idea la sette volte mamma Adele, di Simple Life Musings, che, intervistata su Everyday Mamas, un blog gestito da tre mamme texane e californiane, ha affermato: «C’è questa idea, nella nostra cultura, che la tecnologia dia la libertà di avere un’organizzazione più aperta: si possono fare le cose qua e là, e questo dà più flessibilità e libertà. Ma penso che in realtà sia l’opposto. Si è sempre distratti e c’è sempre la possibilità e la tentazione di lavorare o scorrere le notifiche. La tecnologia finisce per consumare più tempo, invece di dare maggiore flessibilità».
Ecco perché, nella casa in cui si sono appena trasferiti, Adele e suo marito hanno predisposto una “technology free room”, una “stanza senza tecnologia”: uno spazio, afferma ancora la donna, «in cui dare la priorità al parlare tra di noi, ai giochi, alla lettura, cose del genere».
Ma si tratta di un semplice vezzo, oppure di una decisione che ha avuto riscontri positivi? Su questo Adele non ha dubbi: «Penso che soprattutto quest’anno [2020, ndR] ci sia più tecnologia in casa nostra di quanto ce ne sia mai stata prima. Ma in questa stanza abbiamo la libertà di non essere connessi – di giocare, di ascoltare libri e di parlare semplicemente tra di noi, senza il fardello di essere al telefono, al computer, a controllare i messaggi o i social media. Abbiamo sviluppato molti hobby e interessi come famiglia e ne abbiamo davvero avuto benefici».
Naturalmente, e questo ormai da diversi anni, sono molteplici le indicazioni di buon utilizzo dei dispositivi tecnologici che circolano, anche – ma non solo – in relazione all’età di chi li utilizza: su tutte, il fatto di non utilizzare i telefoni o tenere la televisione accesa durante i pasti in famiglia, per favorire il dialogo e la condivisione; oppure, per i più piccoli ma vale lo stesso per gli adulti che dovrebbero concentrarsi per lavoro o studio, il fatto di non avere sempre il telefono vicino per evitare le distrazioni; o, ancora, la buona prassi di non portare smartphone, iPad et similia in camera da letto e di non utilizzarli subito prima di coricarsi, per favorire una migliore qualità del sonno… La proposta di creare una stanza “libera dalla tecnologia”, tuttavia, pare andare oltre: non solo ingloba i benefici relazionali e fisiologici derivanti dal distaccarsi, seppur momentaneamente, dalla tecnologia, ma va altresì a favorire tutta un’altra serie di azioni oggi cadute in disuso e, anzi, quasi anticonformiste: stare assieme per chiacchierare o fare dei giochi, leggere un libro, ascoltare musica… e, perché no, anche pregare assieme. Azioni semplici, apparentemente banali, ma fondamentali. E, una volta (ri)scoperte, apprezzate sia dai grandi sia dai piccoli.
Certo, non tutti hanno la possibilità di dedicare una stanza della casa in via esclusiva come zona “technology free”, tuttavia è possibile per tutti porre delle regole, per esempio di orario, in cui staccarsi dai dispositivi tecnologici… una sfida interessante, di certo impegnativa, ma che aiuta a mettere ordine alle priorità e, appunto, a dare dei confini.
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