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Muore Luis de Moya, sacerdote tetraplegico che aveva combattuto contro l’eutanasia
NEWS 11 Novembre 2020    di Redazione

Muore Luis de Moya, sacerdote tetraplegico che aveva combattuto contro l’eutanasia

Questo lunedì il sacerdote Luis de Moya è morto a Pamplona all’età di 67 anni, dopo aver vissuto per quasi 30 da tetraplegico. Lungi dal maledire Dio per la sua situazione, l’ha trasformata in un apostolato per tante persone che nella stessa situazione non trovano motivo di continuare a vivere. Per questo, il religioso era fermamente contrario all’eutanasia e ha sempre sostenuto che accompagnare, amare e mitigare il dolore fisico e morale il più possibile fosse la vera risposta, e non l’eutanasia, sempre più vicina alla legalizzazione in Spagna. Nel 1991, quando Luis de Moya era già prete, subì un gravissimo incidente stradale e si salvò la vita quasi in modo miracoloso. A causa di questo incidente ha perso ogni mobilità e sensibilità nel suo corpo, dal collo in giù. E così ha vissuto fino a questo lunedì, dando un esempio del significato della sofferenza e di un Dio buono che non intende punire chi rimane tetraplegico o nella sofferenza.

In una intervista gli hanno domandato dell’eutanasia e di come non sostenerla per una persona che sta soffrendo molto. La sua risposta fu una testimonianza di grande impatto, perché sapeva molto bene di cosa stava parlando. «Aiutalo a non soffrire, non ucciderlo. Accompagnalo. Porta via tutto il dolore che puoi. Prima quello fisico, e poi soprattutto quello morale, che è il più duro. La solitudine, il sentimento di inutilità che può avere… insegnagli che è un figlio di Dio. Lascia che lo impari se non l’ha ancora imparato, che sappia che per quanto possa essere difficile ora, deve avere la certezza che Dio continuerà ad essere buono. Sono tanti quelli che sono passati dalla stessa sofferenza, non è solo. E che possa vivere con la speranza che nella vita eterna non ci sia dolore». Questa è stata la sua risposta. Non l’eutanasia, ma accompagnare, curare e amare. In un’intervista del 2013 a La Información ha spiegato che «quando un paziente incurabile riceve cure palliative e psicologiche adeguate, non chiede l’eutanasia. Questo è statisticamente verificato e pubblicato». Ma con il suo caratteristico stile diretto ha riconosciuto che «ci sono persone che rifiutano di essere aiutate, perché fa loro tremendamente male sentirsi accudite. Ebbene, siamo liberi, ma dobbiamo riconoscere che chi agisce così non esercita la propria libertà, ma piuttosto il proprio orgoglio. Rifiutare di ricevere aiuto quando è evidente che ne hai bisogno non ha nessuna virtù». «Sia chiaro», ha aggiunto, «in misura maggiore o minore, l’uomo è sempre dipendente dagli altri. E così continuerà ad essere. Io so di essere molto dipendente. Qual è l’unica cosa ragionevole da fare nel mio caso? Ebbene, accettarlo e lasciarmi curare».

Parlando del modo in cui ha vissuto da quando ha avuto l’incidente che lo ha paralizzato dal collo in giù ha aggiunto: «[ho vissuto] nel modo più realistico che ci può essere: cosciente di essere nelle mani di Dio. La cosa meno realistica è vivere come se Lui non esistesse, o come se nessuno mi potesse aiutare. Dio non mi permetterà di trovarmi in una situazione impossibile, sovrumana o al di là delle mie forze, perché sono suo figlio. Potrebbe renderlo difficile per me, ma mai impossibile», ha affermato. Un’altra domanda che molti si pongono quando vedono una situazione similare a quella di Luis de Moya è «se Dio è buono, perché permette queste cose?». Per padre Luis de Moya anche in questo caso la risposta è stata molto chiara: «Se davvero credi che Dio è buono, la frase finisce qui: “Dio è buono”. Punto. Ciò che sembra terribile dal nostro punto di vista non è così terribile dal punto di vista di Dio. Non cambierei me stesso con nessuno, perché ho l’esperienza di quanto sia meraviglioso Dio. Mi ha permesso di addormentarmi mentre guidavo, ma mi ha anche dato un aiuto umano per far fronte a questa situazione. Dio permette il male, ma non ci abbandona a esso». Così, in un’intervista a ReL, questo sacerdote nato a Ciudad Real nel 1953 ha ricordato ai politici e a chi difende l’eutanasia, solo pochi mesi fa, che «Dio non mette i suoi figli, gli uomini, in situazioni insopportabili. Per ogni momento Dio ci offre il suo aiuto per vivere questa situazione in modo dignitoso alla sua presenza. Anche nelle situazioni più dolorose che possiamo immaginare. Questo è quello di cui io faccio esperienza dal 1991».

Ora che Luis non è più qui, vale la pena ricordare un’altra cosa che ha detto a ReL: «Qualsiasi situazione, per quanto favorevole in questa vita, è destinata a finire, e quindi non è la vera felicità. La vera felicità è possibile solo nell’aldilà, che non finisce mai». (Fonte)


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