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Diritto alla Messa ai tempi del Covid, in Francia è scontro
NEWS 7 Novembre 2020    di Giulia Tanel

Diritto alla Messa ai tempi del Covid, in Francia è scontro

La Messa, in Italia, ha la meglio sul Covid-19. Almeno per ora. Il nuovo Dpcm emanato da Conte, infatti, non vieta (neanche nelle zone rosse) di recarsi in chiesa, e non ne intima la chiusura. Certo, durante le celebrazioni vanno rispettate le indicazioni rispetto alla capienza massima, al distanziamento dei fedeli e all’igienizzazione: sostanzialmente, nulla cambia da quando vi è stata la ripresa delle celebrazioni cum populo nella tarda primavera scorsa. Se a Natale sarà ancora così, è troppo presto per dirlo; di certo, diversi fedeli sentono ancora l’amaro di non aver potuto prendere parte alle celebrazioni pasquali e il timore che possa esservi una replica invernale è molta.

Tuttavia, non è così in tutti i Paesi. In Francia, per esempio, alle prese con un altro lockdown nazionale fino al primo di dicembre, da martedì 3 novembre le Messe con il concorso dei fedeli sono state nuovamente proibite, mentre le scuole rimangono aperte e il lavoro può continuare.

La domanda sorge spontanea: perché le scuole e le attività produttive sono garantite, mentre le chiese sono off limits? La disparità di trattamento è evidente ma, a ben vedere, ingiustificata: non vi è infatti alcun riscontro medico-scientifico rispetto al fatto che i luoghi di culto siano da considerarsi più pericolosi di altri rispetto a un possibile contagio da Covid-19.

Tant’è che, nel Paese, si sono levate diverse voci di protesta e anche i vertici ecclesiastici hanno messo in campo azioni concrete: su tutte, l’appello deposto al Consiglio di Stato da Mons. Eric de Moulins-Beaufort, arcivescovo di Reims e presidente della conferenza episcopale francese, «per chiedere la conformità ai valori di libertà repubblicana delle nuove disposizioni governative che, anche in questo caso, prevedono la chiusura delle chiese».

Ma non è stato solo il mondo ecclesiale a cogliere la (voluta?) “incongruenza”, a danno della libertà di culto, operata dal governo di Emmanuel Macron. Anche la politica si è interrogata, con un dibattito svoltosi in Assemblea nazionale, sulla possibile riapertura dei luoghi di culto. Ed è proprio in tale sede che i sostenitori della possibilità di celebrare le Messe cum populo hanno trovato un alleato inaspettato, e quindi – in un certo senso – ancora più incisivo. Si tratta del deputato, descritto come un «fervente attivista della laicità», Jean-Luc Mélenchon (qui un suo tweet con il video dell’intervento), che – riporta Aleteia – «ha voluto difendere la libertà di culto, ricordando le origini ancestrali di queste pratiche». L’afferente del movimento La France Insoumise, ha quindi aggiunto che la libertà di culto «è consustanziale» con la libertà di coscienza: «La libertà di culto», ha affermato, «fonda la libertà di coscienza perché solo il riconoscimento della libertà di coscienza ha permesso di arrivare a riconoscere la libertà di culto».

Quindi, ha concluso Mélenchon, «il diritto di ogni persona di credere in Dio o di non credere in Dio e di praticare altro è intrinseco alla sua natura umana. È quindi assolutamente impossibile che chiunque possa essere impedito di procedere come ritiene opportuno per dimostrarlo, purché le condizioni siano chiare».

Nonostante questo sostegno “da sinistra”, ad ogni modo, sia l’emendamento n. 109, sia quello n. 130, tesi a preservare la libertà di culto sono stati rigettati. La palla ora è quindi passata al Consiglio di Stato, che dovrà valutare se la proibizione di celebrare la Santa Messa e gli altri sacramenti con i fedeli è giustificata dall’emergenza sanitaria in corso, oppure no.


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