A poche settimane da giorno delle elezioni, il 3 novembre, è sempre più chiaro che Donald Trump, per la sua rielezione alla Casa Bianca, non sta rivaleggiando solo con Joe Biden ma anche, se non soprattutto, con i social media. A rivelarlo è un report del Media Research Center, intitolato Twitter, Facebook Censored Trump, Campaign 65 Times, Leave Biden Untouched. Si tratta di un documento che, in estrema sintesi, ha analizzato i post sui social dei due candidati alla presidenza e le rispettive campagne elettorali per un arco temporale complessivo di circa due anni, dal maggio 2018 al 16 ottobre 2020.
Ebbene, quel che questo documento ha messo in luce è che, finora, i post di Donald Trump sono stati censurati 65 volte, mentre quelli di Joe Biden – udite udite – neppure una. Secondo questo rapporto, la gran parte delle censure (il 98%) sono opera di Twitter, «il social che si è reso responsabile della gran parte di queste censure, rimuovendo i tweet di Trump e i tweet dagli account della sua campagna ben 64 volte».
Tutto ciò è oggettivamente inquietante non per chi simpatizzi per Trump, ma per chiunque, a ben vedere, abbia a cuore la democrazia. Tuttavia, quella dei giganti della Rete contro Trump è di fatto una guerra annunciata. E documentata, soprattutto. Sì, perché già nel luglio 2019 il portale d’inchiesta Project Veritas, scoprì molte cose interessanti in particolare con riferimento a Google.
Da email interne all’azienda che gestisce il più potente motore di ricerca del mondo – mail tra un dipendente ed un membro del gruppo “transparency-and-ethics” – ne emerse che costoro definivano gli opinionisti conservatori Jordan Peterson, Dennis Prager e Ben Shapiro nientemeno che come «nazisti con al collo il fischietto per i cani»; il che è doppiamente grave e bizzarro, se si pensa che sia Prager sia Shapiro, come noto, sono ebrei osservanti.
Nelle comunicazioni intercettate, i dipendenti del gigante informatico discutevano pure su come procedere con «l’identificazione corretta di contenuti di estrema destra», così da «disabilitare» le funzioni di «suggerimento». Un video di Project Veritas sempre del 2019 – subito rimosso da YouTube (di proprietà di Google) – mostrava persino un dipendente dell’azienda sotto copertura rivelare che la sua compagnia aveva un piano, in vista del 2020, per impedire un’altra «Trump situation», due parole che non abbisognano di alcun commento né, di fatto, di nessuna traduzione.
Se questo dunque Google già più di un anno fa, per bocca dei suoi stessi dipendenti, meditavano di fare guerra a Donald Trump, non c’è da meravigliarsi se oggi Twitter e Facebook mettono i bastoni tra le ruote al Presidente uscente. Un politico che, tra l’altro, proprio grazie ai social ha fatto a suo tempo la sua fortuna, se si considera che, mentre tutti i sondaggi ufficiali davano Hillary Clinton in netto vantaggio, nel novembre 2016 il tycoon risultava avere sia su Twitter sia su Facebook appunto circa il doppio dei follower della candidata democratica.
In altre parole, nel 2016 i social sono stati davvero d’aiuto – a prescindere dalla volontà politica dei padroni del Web – per l’elezione di Trump. Un evento previsto da pochissimi e dopo il quale, come si ricorderà, esplose la polemica sulle fake news, che più di un osservatore ha giudicato pretestuosa e politicamente orientata in chiave anti-Trump. E in effetti, le 65 censure subite esclusivamente dal Presidente uscente in questi ultimi due anni, confermano questa chiave di lettura. In pieno.
Potrebbe interessarti anche