Pubblichiamo un breve passaggio della Lettera pastorale 2020 che monsignor Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia San Remo, ha scritto alla diocesi pubblicandola lo scorso 15 settembre. Invitiamo i lettori del Timone a leggere la lettera nella sua integrità e offriamo un piccolo passaggio che riporta una missiva che il cardinale Giuseppe Siri (1906-1989), arcivescovo di Genova e presidente della Cei dal 1959 al 1965, scrisse il 4 marzo 1967 al teologo moralista tedesco Bernard Häring, che si era distinto come uno dei capofila del partito progressista nel post concilio.
(…) Dubbio e scetticismo dominano spesso i nostri approcci alla realtà generando spesso sfiducia e malessere diffondendo quel “male di vivere”, che in taluni, non rari, casi produce depressione.
Mi pare di poter dire, con grande dispiacere, che tracce di questo disagio emergono anche nella letteratura teologica fino a disturbare la vita, l’organizzazione e la missione della Chiesa: si manifesta nell’attitudine di cogliere e di rendere tutto come problematico, attenuando spesso la luminosa gioia della fede. Sarebbe superficialità non riconoscere la sussistenza di elementi complessi in qualsiasi ambito dell’esistenza, invero tanti e spesso molto difficoltosi, ma è altrettanto ingiusto e inadeguato costringere l’avventura dell’uomo in una sorta di indecifrabilità: sono esattamente le tenebre dissipate con la venuta del Figlio di Dio. (…)
A chiarificazione del mio pensiero riporto il testo di una breve missiva di risposta del Card. Giuseppe Siri al Padre Bernard Haring (cit. in B. Haring, Fede, storia, morale. Intervista di G. Licheri, Roma, Boria, 1989, pp. 294-95):
«Reverendo Padre,
ricevo la Sua lettera. Sono sempre pronto ad aprire un dialogo con perfetto rispetto, ogni comprensione e fraterna carità. Ritengo però dirle con assoluta franchezza:
– che non ritengo onesto il dialogo il quale cerchi il compromesso della verità certa;
– che nulla di quello che fu certo nella Chiesa può essere cambiato senza che si neghi direttamente in essa il carisma e l’assistenza dello Spirito Santo, il suo Magistero, la sua indefettibilità;
– che io, anche se ho insegnato lungamente Teologia, sono un Vescovo, ossia un Maestro, non certo infallibile, ma autentico, cosa che non sono i teologi;
– che il mondo lo dobbiamo salvare colla grazia infinita del Signore, ma non lo dobbiamo seguire, avallare, scusare nei suoi errori e nei suoi peccati.
Sono fedele alla mia Fede ed ho giurato più d’una volta in circostanze solenni di mantenerla fino alla morte.
Tanto ho detto, reverendo Padre, per lealtà verso di Lei e perché Lei non sia indotto a creder che io entro in un dialogo, cambiando qualcosa di quello che sono e che debbo essere nell’ossequio alla divina volontà.
Lei stia attento alle responsabilità che si prende, perché di queste risponderà ad Uno ben più alto di me.
Prego Dio perché la benedica infinitamente». (…) [fonte: Mons. Antonio Suetta, Lettera pastorale 2020 diocesi di Ventimiglia San Remo]
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