«Il dono d’amore più grande che puoi fare al tuo primo figlio è non averne un altro», «Abbiamo scelto una vita childfree», «Grazie per aver ridotto la tua impronta di carbonio», «La congestione del traffico inizia al concepimento». Sono questi solo alcuni degli slogan lanciati nell’ambito della campagna One Planet, One Child dalla società no profit World Population Balance con dei cartelli pubblicitari affissi nella città di Vancouver, in Canada, in quanto – a loro dire – luogo dove la sovrappopolazione raggiunge l’apice.
Cartelli che hanno suscitato molto clamore mediatico, tanto che ne è arrivata la eco anche da noi. Ed è così che la stessa città di Vancouver ha diramato un comunicato con il quale, in sostanza, scaricava le responsabilità e si dissociava così dall’iniziativa e che il direttore della società in questione, David Gardner, ha dovuto dapprima scusarsi per essere entrato a gamba tesa in un affare tanto intimo come quello che riguarda il mettere al mondo un figlio («Non stiamo dettando la scelta di nessuno»), e quindi giustificarsi per aver utilizzato un bambino di colore, alimentando così una narrativa razzista rispetto al fatto che le persone di colore dovrebbero fare un figlio solo. Dichiarazioni, queste, che ad ogni modo non spostano di una virgola le sue convinzioni, per cui la diminuzione delle nascite sarebbe un evento da festeggiare e le persone con solo un figlio, o magari anche senza figli, meriterebbe un ringraziamento pubblico.
Proviamo però ad ampliare la riflessione: quella di Gardner è una voce solitaria, fuori dal coro? Assolutamente no; non nella sostanza, almeno. Perché se è vero che altri promotori del neomaltusianesimo, spesso mascherati dietro le vesti di ambientalisti convinti e dallo sguardo lungimirante, sono forse più accorti di lui e della sua società nell’esprimersi, è altresì vero che il concetto non cambia. Un esempio, tra i tanti? La dichiarazione del principe Harry nell’agosto dello scorso anno, a poche settimane dalla nascita del suo primogenito, rispetto alla sua scelta di avere al massimo due figli… per non gravare sull’ambiente!
Ma, soprattutto, non va ignorato il fatto che la spinta antinatalista spesso passa subdolamente, in maniera indiretta. Soprattutto nei paesi Occidentali, con un’onda che ha via via acquisito sempre più vigore, cresciamo bambini saturi di beni materiali, ma relazionalmente sempre più soli e la cui educazione non poggia i fondamenti su valori solidi, bensì si piega alle correnti e ai “sentimenti”.
Abbiamo un’orda di giovani che sperperano gli anni più prolifici della vita tra una lezione universitaria di scarso livello, un aperitivo con gli amici e tirocini a profitto zero, per arrivare a trent’anni con poco, o nulla, in mano: passa così la fase di vita in cui, biologicamente parlando, si è più fertili e si resiste meglio alla privazione di sonno (che serve per la cura di un neonato). Se poi, finalmente, si sceglie di “mettere su famiglia”, ecco che arrivano le tentazioni della modernità liquida: dalla convivenza, ai divorzi brevi… e se poi, quasi da incoscienti, si arriva a mettere al mondo un figlio, o anche più di uno, a dispetto di un accesso all’aborto – sul piano ideologico, ma anche pratico – sempre più facile e di una cultura anticoncezionale oramai pervasiva, la bolla di egocentrismo ed edonismo in cui si è vissuti fino ad allora scoppia improvvisamente: hai voluto un figlio, adesso arrangiati. La maternità e la paternità non sono più concepiti come un valore, bensì come una scelta prettamente personale che nulla aggiunge alla società nel suo complesso. Se poi di figli se ne fanno anche due, tre, o più, gli sguardi che ci si vede puntare addosso “dal mondo” – con rare, rarissime eccezioni – contemplano sfumature di giudizio critico, di sadica commiserazione, ma anche di ironico sarcasmo. E se, infine, questi figli si decide anche di educarli in maniera non allineata al pensiero dominante… apriti o cielo!
In questo contesto culturale, dunque, è evidente che attaccare in maniera diretta la natalità come ha fatto la World Population Balance altro non è che la ciliegina sulla torta di un processo molto più ampio. E, in tale ottica, appare evidente che dibattito va spostato dalla sterile diatriba che fa il gioco dei sedicenti ambientalisti moderni a un piano qualitativamente superiore, che torni a contemplare l’essere umano sì come corpo, ma non disgiunto dall’anima: infatti, una vita umana concepita nel grembo materno non solo apre alla vita qui ed ora, ma spalanca orizzonti di eternità.
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