Le donne sono veramente strane, non c’è che dire. Altrimenti non si spiegherebbe come mai continuino a mancare nel nostro Paese le donatrici. Di sangue? No, di ovuli.
L’allarme arriva puntuale ogni anno, o più volte all’anno. «Fecondazione, mancano le donazioni di ovociti. Boom di richieste all’estero» scriveva Il Fatto Quotidiano nel 2015. L’anno 2016 sulle pagine del Corriere della Sera: «Fecondazione, pochi donatori, ospedali in difficoltà». Stessa solfa sull’Ansa,: «Necessario sensibilizzare per promuovere le donazioni nel nostro Paese». L’anno scorso si è unito al coro anche il quotidiano online di Enrico Mentana, Open, secondo cui la fecondazione eterologa nel nostro Paese è «un’auto senza carburante», «non ci sono donatrici – si legge – perché l’Italia è l’unico paese che non prevede alcun rimborso spese per chi dona».
Non li sfiora il pensiero che sottoporsi a stimolazioni ovariche (visite mediche, analisi, bombardamento ormonale, farmaci e iniezioni con effetti annessi), monitoraggi e infine intervento chirurgico finalizzato al prelievo degli ovuli, il tutto per concepire un bambino in provetta con uno sconosciuto e lasciare che cresca nel grembo di un’altra donna, possa non essere una pratica esattamente entusiasmante?
Pare di no, tant’è che in questi giorni si è fatto sentire anche il Centro Demetra di Firenze – un pulpito disinteressato, trattandosi di un Centro per la procreazione medicalmente assistita – con la Società Italiana di Sterilità e Medicina della Riproduzione, altra realtà totalmente disinteressata, immaginiamo. Scrivono in un comunicato stampa: «I figli della fecondazione eterologa in Italia sono per la quasi totalità stranieri: spagnoli, greci, danesi. Il motivo è semplice: nonostante la fecondazione eterologa sia eseguibile in Italia, ormai da sei anni, grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale, i donatori italiani sono ancora troppo pochi e per questo si fa ricorso alle banche estere». Oltre al problema, ecco proposta una pratica “soluzione”, la prima guida informativa: un aiuto per tutte le donatrici che vogliono compiere questo gesto altruistico in maniera consapevole. Che dire, mai più senza.
La guida, si legge, «è stata realizzata dal Consiglio d’Europa del Comitato Europeo sul Trapianto d’Organi (CD-P-TO), composto da esperti di fama internazionale». Subito la “donazione” viene presentata come un atto di solidarietà e per invogliare quelle egoiste delle donne italiane si spiega che la pratica è altruistica e volontaria, «tuttavia – scrivono – questo non esclude il rimborso di spese giustificate correlate alla donazione in sé (ad esempio i viaggi e i farmaci) o il compenso per la perdita di guadagno». Poco dopo si apprende che «potenziali donatrici dovrebbero ricevere anche un counselling medico e psicologico per assicurarsi che siano comprese pienamente tutte le implicazioni e le conseguenze mediche e psicologiche della donazione. Il counselling dovrebbe fornire i dettagli riguardo la procedura e, in particolare, rispetto ai rischi associati alla stimolazione ormonale e al prelievo chirurgico degli ovociti». Ah, quindi ci sono dei rischi?
«Potrebbero presentarsi altre conseguenze per la donatrice, come l’impatto psicologico di una possibile successiva infertilità, o l’eventuale riscontro di anomalie mediche o genetiche durante gli screening precedenti alla donazione. Sono state riportate alcune associazioni tra la stimolazione ovarica e il tumore dell’ovaio, ma molti studi più recenti non hanno riscontrato una correlazione tra di essi». Non si capisce davvero come mai le donne italiane non corrano a “donare” i propri ovuli.
E le implicazioni etiche di tutto questo? Non pervenute. Il nascituro? Non ce n’è traccia. Molto meglio usare fiumi di inchiostro per denunciare Vanessa Incontrada che posa nuda su Vanity Fair in quanto alimenta “la strumentalizzazione del corpo delle donne”.
Non vorremo mica rischiare che qualcuno ne faccia un mercimonio, vero?
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