Si chiama Eucaristia, pane di vita. È la lettera pastorale del vescovo di Aosta, Franco Lovignana, con la quale annuncia un biennio dedicato al Sacramento dell’Eucaristia. Ne riportiamo alcuni estratti.
Dentro ad una crisi inaspettata
Abituati a correre, ci siamo dovuti fermare. In un attimo programmi e agende personali e pastorali si sono azzerati. Disorientamento e sensazione di vuoto ci hanno obbligati a riposizionare vita, relazioni e attività in una prospettiva nuova. Abbiamo scoperto che nella costrizione si può essere liberi e creativi, solidali e intercessori. Per molti di noi il blocco ha favorito la preghiera e l’approfondimento della fede in Dio, Padre provvidente che non abbandona i suoi figli. La sosta obbligata è diventata palestra educativa. Libertà non è scegliere sempre e comunque quello che si vuole, ma la capacità dell’anima umana di rimanere fedele a se stessa e di discernere ciò che dona pienezza alla vita anche quando esteriormente vengono a mancare tante cose importanti. Libertà è riconoscere la vicinanza di Dio e invocarLo anche quando tutto sembra umanamente crollare.
Sballottati da un’inedita tempesta, ci siamo aggrappati a Dio, cercando nella sua Parola e nella sua presenza un senso a quanto accadeva e la forza di non pensare solo a noi stessi. Abbiamo provato a portare al Signore gli altri con la preghiera di intercessione e con gesti di condivisione e di servizio, gesti piccoli e grandi, per qualcuno eroici. Separati gli uni dagli altri, senza poter andare in chiesa per la Messa, abbiamo trovato strade che, con tutti i loro limiti, ci hanno permesso di preservare i legami comunitari, di pregare e di celebrare insieme a distanza la nostra fede, di coltivarla nel dialogo e nella formazione, di testimoniare la carità di Cristo.
Riscoprire la bellezza dell’andare a Messa
«Perché andare a Messa?». È una domanda che sentiamo ripetere in mille declinazioni. La celebrazione eucaristica è spesso percepita come atto da compiere, chiuso su se stesso, e non come momento dinamico posto al centro della vita pastorale e delle relazioni ecclesiali, che sono sempre innanzitutto relazioni umane e sociali. La celebrazione eucaristica, infatti, è luogo nel quale il cristiano diventa più uomo ritrovando le proprie radici di creatura voluta, amata e perdonata da Dio. Nell’Eucaristia, ogni volta, siamo rinnovati e rivestiamo l’uomo nuovo, creato secondo Dio nella giustizia e nella vera santità (Ef 4, 23).
Punto di arrivo e nuovo punto di partenza della vita cristiana, l’Eucaristia costruisce la comunità secondo la “grazia” e secondo la “carne”. La Parola e il Corpo di Cristo sono fermenti soprannaturali che agiscono in profondità abbattendo il muro di separazione, che sempre si riforma tra le persone, facendo dei fedeli una cosa sola, un solo uomo nuovo riconciliato con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce (cfr Ef 2, 14-18). Questo dono di grazia deve ‘incarnarsi’ nelle relazioni comunitarie. Parlo di carne per richiamare alla concretezza e sfuggire al rischio di idealizzazione sempre in agguato quando ci riferiamo alla comunità. Non penso ad un generico volersi bene e neppure solo allo sforzo di andare d’accordo con tutti, di essere attenti e generosi verso tutti. Penso invece a gesti, strutture e iniziative ecclesiali che traducano nella storia quotidiana l’unità sacramentale del Corpo di Cristo.
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