Alessandro Spanò è il capitano della Reggiana neo promossa in Serie B e all’età di 26 anni poteva davvero sentirsi arrivato: giocare in Serie B, per chi è nel calcio, è comunque un traguardo importante: professionale ed economico perché gli ingaggi non sono certo faraonici, ma, insomma, si può vivere dignitosamente.
Invece Spanò ha annunciato ieri di voler lasciare il mondo del calcio per dedicarsi allo studio. Una decisione clamorosa, ma anche ben ponderata, maturata negli anni e annunciata proprio alla fine dei festeggiamenti per quella promozione che ha riportato la squadra di Reggio Emilia nella serie cadetta dopo 21 anni.
«Credo che il destino giochi con le nostre vite – ha detto ieri in conferenza stampa con voce rotta dalla commozione – per dare a tempo debito un senso a tutto ciò che nei momenti difficili sembra non averne. Il mio destino si è intrecciato con quello di questa città. Mi ha chiesto di fare con lei un viaggio, fianco a fianco. Di accompagnarla dove merita. Così ci siamo presi per mano, siamo arrivati in vetta, ce l’abbiamo fatta insieme. Non poteva essere diversamente, perché quella finale, come non avrei potuto immaginare neanche nelle migliori sceneggiature di un film a lieto fine, era la mia ultima partita».
Il giorno dopo quella promozione infatti, il 23 luglio, Spanò si è laureato in Economia e Managment. Ma nel frattempo era già stato ammesso alla Hult Business School e a settembre partirà per un doppio master di 20 mesi tra Londra, Shanghai e San Francisco.
Un pazzo o un lucido calcolatore? Non sappiamo quale sia la molla che ha fatto scattare in un calciatore di belle speranze questa decisione così insolita, però la sua decisione ci suggerisce alcune grandi verità.
La prima è che non è vero che i calciatori sono tutte scatole vuote, bramose di fama, onori e soldi. Spanò non è il primo che si alza da un mondo che purtroppo, siamo abituati a vedere con l’occhio ristretto della tv o inarrivabile della tribuna da stadio. Lascerà il calcio, ma al calcio ha lasciato così l’insegnamento più bello, come dono di una vita piena e affermata.
La seconda è che non è l’ambizione di guadagno che muove le storie più belle e anima i desideri più forti. Se avesse fatto un ragionamento meramente economico, Spanò si sarebbe fatto una bella vacanza a Formentera e poi, tra tre settimane sarebbe ritornato sui campi da calcio a inseguire una fama che evidentemente non gli bastava. Si sentiva chiamato ad altro: un lavoro diverso, forse più anonimo che non conquisterà la prima pagina della Gazzetta, ma un lavoro che lo potrà riempire dandogli senso come uomo perché la sua passione lo ha portato lì.
Infine l’umiltà: il capitano di una squadra di Serie B può godere di quei piccoli privilegi che nella vita fanno sempre comodo: non dovrebbe essere difficile trovare le ragazze, né un ingaggio ogni anno migliore e nemmeno, se si è intelligenti, un futuro nel mondo del calcio ugualmente remunerativo. Invece, inseguendo il suo sogno, un altro sogno, Spanò ha accettato di misurarsi con un destino più incerto che lo catapulterà nel mondo del lavoro all’inizio da signor nessuno, in megalopoli dove si è davvero dei numeri. Forse, la cavalcata fatta con la Reggiana, dal fallimenti recente alla promozione, deve avergli dato la motivazione giusta: per aspera ad astra.
Ecco il punto: Spanò sapeva che cosa voleva, non era lì per caso, ma non ha considerato l’essere lì un punto di arrivo. La nostra storia è un cammino e lui ha avuto la maturità per considerare questo cammino concluso, aperto ad altri cammini.
E’ un bell’insegnamento che ci porta alla capacità di saper rischiare, certo, ma anche di sapersi affidare con fiducia alla vita. In tempi in cui i giovani inseguono desideri standardizzati e spesso futili, quella di Spanò è una bella prova che si può costruire il proprio futuro in maniera diversa e meno conformista.
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