Lo scorso 2 giugno Donald Trump ha firmato un decreto esecutivo atto a rendere la libertà religiosa una priorità della politica estera statunitense e con il quale si prevede anche che i funzionari del Dipartimento di Stato interessati si sottopongano a una formazione sulla libertà religiosa internazionale. Il tutto con un budget di spesa di 50 milioni di dollari l’anno. «La libertà di religione per tutti i paesi del mondo», si legge nel decreto, «è una priorità della politica estera degli Stati Uniti, e gli Stati Uniti rispetteranno e promuoveranno con forza questa libertà».
Ebbene, al netto delle polemiche che (quasi) sempre nascono attorno al Presidente americano – come per esempio quella in merito alla sua visita al Santuario Nazionale di San Giovanni Paolo II a Whashington con la moglie Melania o le azioni di protesta contro l’uccisione di George Floyd -, e che vanno in parte a oscurare gli intenti che Trump porta avanti, il National Catholic Register riporta con la penna di Edward Pentin come la firma del decreto esecutivo sia stata accolta con entusiasmo dai vertici della Chiesa in Medio Oriente e Nigeria.
LE PAROLE DEGLI INTERESSATI
L’arcivescovo caldeo Bashir Warda di Erbil, in Iraq, Paese che negli ultimi decenni ha visto la morte di migliaia di cristiani, ha dichiarato: «Accogliamo con favore il recente ordine esecutivo sull’avanzamento della libertà religiosa. Avendo sperimentato direttamente persecuzioni, crimini contro l’umanità e genocidio a causa del nostro impegno per la nostra fede, siamo profondamente grati per gli sforzi dell’amministrazione per mantenere un focus internazionale su questo tema».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il patriarca cattolico siriaco Ignace Joseph III Younan (foto a lato), che ha elogiato il coraggio di Trump per quello che è il “sogno” di un migliore dialogo religioso e che spera possa avere «un seguito efficace» nella vita quotidiana della sua popolazione, anche in termini molto concreti di azioni – e non solo di parole – atte alla sopravvivenza della minoranza cristiana e volte a far sì che venga ad essa data la possibilità di continuare ad abitare i luoghi di sempre. Infatti, Younan ha sottolineato l’enorme portata della «”orribile persecuzione” che i cattolici siriaci hanno affrontato negli ultimi dieci anni in Iraq e in Siria» e ha rimarcato l’importanza della solidarietà degli Stati Uniti che «dovrebbero custodire la libertà religiosa come un dono di Dio». E questo anche alla luce del fatto, ha chiosato, che «ovunque sia garantita la libertà religiosa, prima o poi seguiranno le libertà sociopolitiche».
Per il vescovo Matthew Hassan Kukah di Sokoto, una regione di estese persecuzioni in Nigeria (si parla di 1.000 cristiani uccisi nel 2019 per la loro fede e di circa 6.000 dal 2015), il grande merito del decreto è di rimettere al centro dell’attenzione il tema della persecuzione dettata da motivi religiosi: «La fede è, per noi, l’identità più importante», ha infatti affermato, per poi aggiungere che «il governo degli Stati Uniti ha la statura di radunare altri paesi a questa causa, e speriamo che questo accada». Concorda con questa visione anche il vescovo iracheno cattolico siriaco Yousif Habash, peraltro sottolineando che «è “davvero molto doloroso” che i governi occidentali “non vogliano dare importanza alla presenza cristiana in Medio Oriente”». Uno status quo dal quale si sottrae, a suo dire, l’America, che è ancora «una nazione sotto Dio», e per questo è molto attaccata.
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