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Il pensiero unico e il presunto razzismo imperante
NEWS 5 Giugno 2020    di Giuliano Guzzo

Il pensiero unico e il presunto razzismo imperante

L’emergenza pandemica non è ancora rientrata, anche se almeno in Italia e in Europa segnali incoraggianti non mancano, che già è prepotentemente tornato al centro della scena un virus storico, che da decenni, indisturbato, ammorba l’Occidente: quello del pensiero unico e del politicamente corretto, in nome del quale le censure non si contano, anzi si moltiplicano in antitesi ad un razzismo spesso dubbio e, talvolta, del tutto inventato. A tale proposito, sono almeno due i casi clamorosi emersi in questi giorni.

IL TELECRONISTA CACCIATO

Il primo è quello di Gran Napear, il telecronista dei Sacramento Kings che ha perso il posto di lavoro semplicemente per aver – ben stuzzicato via Twitter da DeMarcus Cousins, ex star dei Kings, affinché dicesse la sua sul dibattito e sugli scontri scatenatosi dopo l’uccisione di George Floyd – osato rispondere con tre parole: «All lives matter», tutte le vite contano. Come a dire: condivisibile la rabbia e il dolore per la morte di Floyd, ma ricordiamoci che appunto tutte le vite contano. Anche quelle delle vittime degli scontri successivi.

Un pensiero di elementare civiltà, quello di Napear, che però agli occhi di alcuni è suonato come una contestazione allo slogan caro ai movimenti di contestazione che stanno mettendo a ferro e fuoco gli Usa – «Black lives matter» -, motivo per cui, come si diceva, è stato allontanato. Un licenziamento grave e liberticida che però diventa spiegabile, se si guarda a come gli indignati per la morte di Floyd siano letteralmente coccolati dai mass media; basti pensare, per fare un esempio, agli assembramenti di questi contestatori, i soli che a quanto pare nessuno osa far notare. Ma andiamo avanti.

BIBLIOTECARIO SCRIVE “WUHAN VIRUS”: RAZZISTA

Un secondo caso di censura verificatosi in questi giorni – forse meno grave, ma certo non meno emblematico – è avvenuto alla Winthrop University, un ateneo pubblico della Carolina del Sud. In questa università, Mark Herring, decano dei servizi bibliotecari, a pochi giorni dalla pensione, ha visto censurato un proprio articolo sul numero di aprile di Against the Grain, storica rivista destinata principalmente ai bibliotecari. Il motivo della censura?

Eccolo: nel suo articolo, Herring, aveva in modo del tutto innocente osato chiamare il coronavirus «Wuhan virus», scelta che è stata giudicata «etnicamente offensiva»; razzista, insomma. Per questo l’intero intervento è stato cancellato. Il che è doppiamente bizzarro se si considera che il pezzo di Herring non conteneva alcun incitamento razzista né particolari bordate alla Cina per come ha gestito o, meglio, non gestito l’epidemia, almeno al suo inizio.

Semplicemente, l’articolo censurato si limitava a ricordare da dove proviene il covid-19, sottolineava che da una crisi può emergere il meglio e il peggio delle persone ed esortava ad un promemoria su ciò che davvero conta nella vita: nulla di scandaloso, insomma, anzi. Eppure quel «Wuhan virus», evidentemente, pur corrispondendo ad un incontestabile dato di realtà, è stato ritenuto inaccettabile.

NON SI DISSENTE DALLO STORYTELLING

Ora, pur nella loro chiara diversità le vicende di Gran Napear e Mark Herring evidenziano – come si diceva all’inizio – uno stesso paradosso tutto occidentale, ossia quello di una società che non perde occasione per incensare e sbandierare la libertà quale valore supremo, salvo poi limitare quella di espressione a chi viene preventivamente e inappellabilmente accusato di essere razzista o intollerante. Una contraddizione lampante.

Da questo punto di vista, va precisato come i casi di Napear ed Herring, purtroppo, siano solo gli ultimi d’una lunga serie. Ma ciò, sia chiaro, non legittima un atteggiamento di resa, anzi c’è da sperare che raccontare la portata grave e paradossale di simili episodi possa servire a far aprire i tanti occhi ancora distratti o chiusi. Perché è decisamente concreto il rischio che proprio chi reputa simili censure di gravità relativa possa, un domani, trovarsi a sua volta vittima di quel politicamente corretto le cui derive liberticide, oggi, vengono invece incautamente sottovalutate.


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