Oggi il 1° maggio di 112 anni fa veniva al mondo Giovannino Guareschi e lo voglio ricordare in due modi.
Il primo modo è un’immagine. Comparsa ieri sera in una banlieue di Parigi per denunciare il divieto posto dal governo Macron di andare a messa prima del 2 giugno (quando apriranno i bistrot). Supermercati aperti, luoghi di culto chiusi. «Quali sono le nostre cattedrali?». È un immagine che rende onore al grande Giovannino più di mille parole.
Poi un mio piccolo diletto. Mi mancavano don Camillo e Peppone, così li ho infilati dentro a una rubrica de Il Timone per fargli raccontare dal crinale le stramberie del mondo d’oggi. Ogni mese, da circa 2 anni, i lettori della nostra rivista possono respirare l’aria di un Mondo piccolo. Non è nostalgia, è l’arsura che viene quando manca il vino buono. Alla fine spero vi venga voglia di ubriacarvi di Mondo piccolo e per questo il vignaiolo Doc è solo uno, il grande Giovannino Guareschi. Di seguito l’ultimo racconto pubblicato sul Timone di aprile, intitolato
Cartello antivirus.
Pareva un paese in guerra. Nessuno per la strada, nessuno sulla piazza, il bar chiuso. Le luci dell’illuminazione pubblica facevano ancora il loro mestiere, ma rendevano lo spettacolo ancora più tristo. Alle 18 la televisione mandava il bollettino dei morti e dei contagiati e così si ammazzava quel po’ che restava del pomeriggio di fine marzo, quando l’aria di solito si fa più mite e la primavera comunque bussa alle porte.
Da qualche sera a rompere quel dannato silenzio da virus ci pensava la Dina, con quel suono inconfondibile che si sentiva su tutto il crinale. Din don dan, din don dan. Alle 19 la Dina azionata dal braccio di don Camillo chiamava alla preghiera del rosario che ognuno recluso in casa era chiamato a recitare, per tirar giù dal cielo la grazia di cacciare l’epidemia.
Don Camillo aveva appena finito il rosario che da sotto le finestre del tinello si sentì la voce di Peppone. «State in casa don Camillo che a forza di provocare finirete male, appenda questo bel cartellone con l’arcobaleno piuttosto: andrà tutto bene».
La faccenda, infatti, si era complicata dopo che don Camillo aveva detto Messa con le porte della chiesa aperte e con un po’ di gente che si era radunata sulla piazza. Erano intervenuti i carabinieri per sfollare il gruppo e chiudere le porte della chiesa, ma a don Camillo, che pure rispettava le regole dell’ordinanza contro il coronavirus, la storia andava giù di traverso.
La mattina dopo don Camillo uscì per andare dal fornaio. Sulla piazza gli venne incontro una amica dell’assessora alla cultura, una del gruppo delle emancipate, una che in chiesa non ci metteva piede dai tempi della cresima, forse. «Mi scusi, potrebbe dirmi come si recita il rosario?». A don Camillo, dotato di mascherina anti virus, parve di aver sentito male, ma l’emancipata tornò alla carica: «Signor parroco, vorrei pregare, ho paura». Tolta dalla tasca una corona don Camillo istruì ben bene la signora.
La sera la Dina fece il suo dovere con ancora maggiore convinzione. Passò ancora Peppone: «Ma allora siete proprio convinto…povero don Camillo, stia in casa e vedrà che andrà tutto bene, legga il cartello con l’arcobaleno…».
Ma la mattina dopo il crinale si svegliò con una sorpresa, in ogni angolo del paese qualcuno aveva attaccato dei cartelli: «Se preghi, andrà tutto bene», senza arcobaleno ma con una bella Madonna della Salute sullo sfondo. Nessuno sapeva chi avesse agito con il favore dell’oscurità e nel deserto più assoluto.
Alle 19 la Dina fece il suo lavoro con ancora maggior spinta. Ma un’altra novità accompagnava il din don dan. Il campanile, che risultava visibile dai quattro angoli del crinale, era illuminato con un fascio di luce da cinema e che faceva brillare fin da lontano l’ostensorio con Nostro Signore Gesù Cristo sacramentato.
Alla fine del rosario e dell’adorazione urbi et orbi, Peppone ripassò sotto alle finestre della canonica. «Lei cerca guai caro don Camillo, qui c’è bisogno di letti d’ospedale e medicine non di fare dello spettacolo e della preghiera».
«La preghiera ci vuole per salvare le anime e magari anche i corpi. Se preghi andrà tutto bene».
Intanto la luce illuminava ancora l’ostensorio sul campanile. Peppone fece per andare via mentre don Camillo lo guardava dalla finestra…
«Andate dentro voi perché voglio segnarmi, io voglio dare soddisfazione a Gesù Cristo e non a un prete oscurantista».
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