«Se un virus può spazzare via l’intera economia nel giro di poche settimane, è la dimostrazione che le nostre società non sono molto resistenti. Inoltre questo mostra anche che una volta che ci troviamo in una situazione di emergenza, siamo in grado di agire e siamo in grado di cambiare il nostro comportamento in fretta». Parola di Greta Thunberg. Qualcuno si era chiesto che fine avesse fatto in questi due mesi di pandemia, e proprio qualche giorno fa la giovane svedese così si è espressa in un’intervista alla testata inglese New Scientist. Il messaggio è chiaro: la pandemia potrà aiutarci ad assumere finalmente quelle abitudini di sobrietà nello stile di vita che i movimenti ambientalisti auspicano.
La giovane svedese leader degli scioperi per il clima non è certo l’unica a pensarla così. In un articolo del 31 marzo di Simon Mair – che sul suo account Twitter si definisce «economista ecologico», si legge: «Affrontare sia Covid-19 che i cambiamenti climatici è molto più semplice se si riduce l’attività economica non essenziale. Per i cambiamenti climatici ciò è dovuto al fatto che se produci meno materiale, usi meno energia ed emetti meno gas serra. L’epidemia di Covid-19 è in rapida evoluzione. Ma la logica di base è altrettanto semplice. Le persone si mescolano e diffondono le infezioni. Questo succede nelle famiglie, nei luoghi di lavoro e nei viaggi che le persone fanno. Ridurre questa miscelazione probabilmente ridurrà la trasmissione da persona a persona e porterà a un numero inferiore di casi nel complesso».
Lo stesso giorno sul sito del World Economic Forum Virginia Crawford scriveva: «La pandemia di Covid-19 ha suscitato una risposta globale diversa da qualsiasi cosa abbiamo visto prima. Dal governo e dalle imprese che assumono nuovi ruoli per rispondere alla crisi, alla completa riorganizzazione di come lavoriamo, viaggiamo e socializziamo, abbiamo assistito a cambiamenti che non sembravano possibili solo settimane fa. I costi umani della pandemia sono terrificanti, ma la risposta è stata in gran parte caratterizzata da cura, compassione e connessione, e da un ritmo di cambiamento inaudito». Ancora: «Molti aspetti della risposta al Covid-19 sono simili ai cambiamenti di cui abbiamo bisogno come parte di una risposta globale ai cambiamenti climatici».
L’agenzia di stampa britannica Reuters è ancora più esplicita e in uno articolo del 19 aprile definisce il coronavirus «una prova per stili di vita più verdi». A firmare il pezzo è Laurie Goering che sul suo account Twitter si definisce «redattore dei cambiamenti climatici». Riporta alcune dichiarazioni di partecipanti all’Assemblea sul clima britannica, che si è tenuta ad aprile rigorosamente in videoconferenza: «A volte nella vita hai solo bisogno di una sfida per cambiare il modo in cui vivi e operi», dichiara Ibrahim Wali, 42enne medico partecipante all’assemblea. Sulla stessa linea un altro partecipante, Marc Robson: «Con il coronavirus (il governo) ha dovuto agire perché non aveva scelta in merito. Con il cambiamento climatico, devono agire allo stesso modo».
Abbiamo citato qualche esempio ma le spinte del mondo ecologista sono sotto gli occhi di tutti, da più parti si celebra l’abbassamento del livello delle polveri sottili nell’aria piuttosto che la bellezza di trovare animali da giungla nel bel mezzo di metropoli deserte a causa del lockdown. Anche nella Chiesa non mancano voci in questa direzione, come quella del gesuita Benedict Mayaki che su Vatican news scriveva, in un articolo poi rimosso, che «i cambiamenti nel comportamento umano dovuti alla pandemia del virus Covid-19 stanno portando benefici non intenzionali al pianeta».
In fondo non c’è nulla di nuovo sotto il sole. Come in ogni emergenza c’è qualcuno che ne approfitta per portare avanti la propria agenda.
Peccato che poi come sempre la realtà abbia il sopravvento, e se c’è una cosa che è emersa in tutta la sua forza è che la lotta alla plastica degli ultimi anni si è schiantata contro i DPI necessari per ridurre il contagio. Mascherine, guanti, tute, plexiglass che qualcuno sta provando a piazzare anche sui tavoli dei ristoranti e nelle nostre spiagge sono in gran parte realizzate nella tanto vituperata plastica. Ma questo non basterà a frenare le spinte verso cosiddetta decrescita felice, bisognerà vigilare anche su questo.
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