«Regole “assurde” ostacolano l’accesso all’aborto durante il Covid», così titola Open Democracy, la piattaforma web finanziata, fra gli altri, dalla Open society foundation del magnate George Soros, finanziere che tira le fila di numerose operazioni con obiettivi politici che a volte di facciata portano il nome di molte Ong. Con Soros partecipano al sostegno di Open democracy anche la la Rockefeller Brothers Fund e la Ford Foundation.
Ritornando al titolo dell’articolo di Open democracy mai virgolette furono più azzeccate, potremmo dire, perché se qualcosa di assurdo c’è, è il contenuto dell’articolo in questione.
Il copione è già visto: “caso limite” e la protagonista che non può essere identificata, poiché è presentata solo col suo nome, o meglio con il nome seguito dall’asterisco: Lisa*, in ossequio all’ideologia gender. Ecco cosa si legge: «Proprio mentre le infezioni da coronavirus si espandono nel nord Italia, Lisa* si rende conto di essere incinta. Quasi cinquantenne, con due bambini, un lavoro precario e problemi di salute: “Purtroppo mi sono accorta di essere incinta inaspettatamente, soprattutto alla mia età”». Gravidanza inaspettata, età avanzata, problemi di salute, lavoro precario, donna sola, gli ingredienti del copione ci sono tutti. Ma andiamo avanti. «La gravidanza di Lisa, essendo nelle prime settimane, si sarebbe potuta terminare con un paio di pillole. Ma in quei giorni, prima che iniziassero le misure restrittive in tutta Italia, molti comuni dell’area di Lodi, la sua città, erano già stati messi in isolamento. Secondo un gruppo di attiviste per diritti delle donne, l’ospedale aveva già preso misure drastiche: aveva sospeso gli aborti farmacologici e convertito in chirurgici quelli già programmati».
Così come l’articolo non menziona il cognome della donna, nemmeno dice quale sia l’ospedale in questione, meno che meno riporta chi siano queste non meglio precisate attiviste che denunciano la mancata possibilità di ricorrere a un diritto. Ma proseguiamo nella lettura: «Lisa si trovava quindi davanti due opzioni: proseguire una gravidanza indesiderata o iniziare un’odissea nel tentativo di trovare un altro ospedale in cui l’accesso ai servizi fosse ancora garantito. La donna sceglie la seconda strada, e inizia a chiamare altri ospedali nella sua regione, ma viene respinta sia da quelli in aree con un numero di casi maggiore, a causa dell’emergenza, sia da strutture in zone con tassi di infezione minori, per via della sua provenienza da Lodi. È solo dopo giorni di chiamate e rifiuti che Lisa trova finalmente un ospedale pronto ad accettarla».
Il finale era scontato, perché in questi 42 anni di legge 194 tutte le denunce che riguardano donne che hanno faticato a trovare un ospedale per interrompere la gravidanza si sono concluse tutte nello stesso modo: con un aborto. Non ha fatto eccezione la storia (vera?) di Lisa* che ha posto fine alla vita della creatura che portava nel grembo nel pieno di una pandemia, nella regione italiana più colpita, con gli ospedali al collasso e la maggior parte dei reparti chiusi per lasciare spazio all’emergenza covid. Nel periodo in questione in Lombardia sono state annullate tutte le visite mediche considerate non urgenti, le fisioterapie, gli esami diagnostici, i prelievi del sangue e gli interventi chirurgici non urgenti, molte cure oncologiche. Eppure anche in questa situazione l’aborto è stato garantito.
E se tutto questo non fosse già assurdo di per sé, Francesca Visser, che firma l’articolo, se la prende con quello che definisce «il gruppo ultra-conservatore ProVita e Famiglia», reo di aver «cavalcato l’onda per lanciare una petizione online, chiedendo di bloccare tutti i servizi IVG a livello nazionale dichiarando: “Durante la pandemia, l’aborto non è un servizio essenziale”».
Assurdo, per tornare al titolo, dover spiegare che l’aborto non è un servizio essenziale mai, amaro constatare come nemmeno durante una pandemia che semina morte lo Stato impedisca l’uccisione dei cittadini che devono nascere, penoso prendere atto che l’umanità così ferita, non veda la vita nascente per quello che è: un miracolo del Creatore e il segno inequivocabile che ancora non si è stancato di noi.
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