Aveva detto di aver scoperto un virus simile alla Sars già il 31 dicembre scorso ed ora, purtroppo, è sparita. La storia di Ai Fen, la dottoressa a capo della terapia d’urgenza dell’ospedale di Wuhan, si tinge di giallo o – meglio – di rosso, visto che con ogni probabilità il fatto che oggi nessuno sappia dove si trova vede lo zampino del regime di Pechino. Infatti i guai della donna sembrano esser iniziati dopo la sua denuncia, che ha fatto subito il giro del mondo, sugli impedimenti toccati a lei e ai suoi colleghi nel momento in cui hanno tentato di metter tutti in guardia dal Covid-19.
Nello specifico, la dottoressa – che a causa del virus ha perso quattro colleghi – ha spiegato di aver provato a lanciare l’allarme, ma di esser stata immediatamente messa a tacere. «Se però avessi saputo cosa sarebbe successo, non mi sarei preoccupata del rimprovero. Ne avrei parlato con chiunque, e dovunque avessi potuto», sono state le sue parole. Le sue ultime, si teme. Sì, perché ormai di Ai Fen, come si diceva, non si hanno notizie da giorni.
A segnalare la sua scomparsa, è stata 60Minutes Australia, popolarissima trasmissione di giornalismo investigativo: «Solo due settimane fa la responsabile della terapia d’urgenza dell’ospedale centrale di Wuhan Ai Fen è apparsa in pubblico, dicendo che le autorità avevano impedito a lei e ai suoi colleghi di mettere in guardia il mondo. Ora è scomparsa, non si sa dove sia». Ora, purtroppo non occorre lavorare molto di fantasia per immaginare come dietro la scomparsa della donna possa esservi un regime, quello cinese, che con l’ammissione della verità sembra avere grossi problemi.
Basti pensare, per fare un solo esempio, al fatto che Pechino segnala in un numero di poco superiore al 2.500 le vittime del coronavirus. Ma se le cose stanno così non si spiega come mai, nella sola Wuhan, in un solo mese siano cremate in città 28.000 persone (contro una media di 6.600); e se si contano le urne cinerarie distribuite, si arriva quasi a 50.000. «I crematori lavoravano tutto il giorno, come possono essere morte così poche persone?» si è a tal proposito chiesto, ai microfoni di Radio Free Asia, un residente di Wuhan. Nel frattempo, un rapporto segreto dell’intelligence degli Stati Uniti nelle mani della Casa Bianca, e da poco rivelato da Bloomberg, ha confermato: «La Cina ha nascosto l’estensione dell’epidemia sottostimando sia i casi totali sia i decessi».
E non finisce qui dato che, in ogni caso, la Cina non sembra affatto aver risolto i suoi guai con il Covid-19 come prova la notizia, diffusasi nelle scorse ore, di un’area della provincia cinese dello Henan, limitrofa a nord dell’Hubei, dove vivono circa 600.000 persone, che è stata sottoposta a misure di isolamento per il timore di una seconda ondata di contagi. Ora, in questo quadro è evidente come la denuncia della dottoressa Ai Fen sia terribilmente scomoda, perché pone sotto accusa le autorità del regime, oggi più che mai alle prese con una propaganda globale, come mostrano le oltre 26 milioni di maschere, 2,3 milioni di test e altre forniture spediti in 89 Paesi.
Trattasi di un enorme e costoso spot che da Pechino stanno finanziando sì offrendo aiuti concreti, anche se spesso discutibili (pare che molte mascherine provenienti dalla Cina non siano adeguatamente protettive), ma soprattutto cercando di rinfrescare l’immagine del gigante rosso. Uno spot che, chiaramente, testimonianze come quella di Ai Fen rischiano seriamente di vanificare.
Motivo per cui c’è da temere per le sue condizioni, ora che il suo nome, in ogni caso, è già accanto a quello di Li Wenliang, il medico oculista di Wuhan che il 30 dicembre 2019, prima di essere arrestato per procurato allarme, cercò di avvisare tutti del pericolo, scrivendo un post sulle proprie pagine social. Eroi della medicina e della libertà che, dinnanzi ad autorità infinitamente più potenti di loro, non hanno avuto dubbi sul fatto di adoperarsi per far conoscere al mondo la verità, la sola cosa che renda liberi. E contro cui non può nulla neppure il regime più repressivo.
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