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«Sono ateo, ma col coronavirus ora prego»
NEWS 27 Marzo 2020    di Giuliano Guzzo

«Sono ateo, ma col coronavirus ora prego»

Esattamente due settimane fa su questo sito, quello del Timone, veniva avanzata l’ipotesi sociologica che la tragedia del coronavirus avrebbe potuto, con il tempo, riavvicinare molti alla fede. Un’ipotesi che, a distanza di giorni, risulta suffragata da numerosi elementi, come il travolgente boom di ascolti televisivi della Messa e del rosario. Non solo. Adesso perfino tra i non credenti, strano ma vero, è in corso un sorprendente riavvicinamento alla preghiera.

Lo prova, tra le tante, la testimonianza di Jason M. Opal, il quale – lo si premette per evitare facili obiezioni – tutto è fuorché un seminarista mancato o un bigotto limitato da una scarsa preparazione culturale. Tutt’altro. Storico, autore di libri pubblicati dalla prestigiosa Oxford University Press, docente alla McGill University di Montréal – città, parole sue, «che prende molto seriamente la laicità» -, Opal infatti è, per sua stessa ammissione, un «non religioso». Al punto che, d’accordo con la moglie, non ha manco fatto battezzare i figli.

Stiamo insomma parlando di un vero e proprio alfiere del laicismo, un mangiapreti si sarebbe detto fino a qualche anno fa. Ebbene, sconvolto dalla pandemia di questi giorni e dai morti che crescono a migliaia in tutto il mondo, Opal, proprio lui, si è messo a pregare. A dirlo è lui stesso che, pur riconoscendo il suo atteggiamento per nulla tenero verso la fede («ero decisamente sprezzante nei confronti della religione»), ora pare tornato sui suoi passi.

Lo ha spiegato in prima persona in un lungo articolo uscito su The Globe and Mail, quotidiano canadese che raggiunge un bacino settimanale di circa un milione di lettori. «Non rinnego nulla di ciò che sono stato», sono le esatte parole di Opal, «eppure, in questi giorni di prova, a volte chiudo gli occhi e unisco le mani. Mi allontano da tutti, anche da mia moglie, così da essere pienamente solo con il mio vago ma potente senso del divino».

Preghiere ambigue e non rivolte ad una divinità precisa? Nient’affatto. «Se devo essere onesto con me stesso», confessa lo storico, «mi rendo conto che sto recitando le preghiere che ho ascoltato da un pastore nella Chiesa congregazionale che frequentavo con i miei genitori». «Attingo da quella tradizione», precisa sempre Opal, quasi a volersi scusare di quanto racconta ai suoi lettori, «semplicemente perché la conosco, perché vivono nei miei ricordi, un miscuglio di immagini di giorni commoventi».

Beninteso: Jason M. Opal proviene da ambienti protestanti e non risulta essersi convertito. Ma se ci si pensa è proprio questo il bello, e cioè tale necessità di affidarsi a Dio dinnanzi ad una tragedia che, purtroppo per lei, la cultura laica – tronfia della «scienza», quasi elevata a feticcio – non sa affatto elaborare. Diversamente, Opal stesso avrebbe continuato a farsi forza sulla base delle parole di virologi, infettivologi e scienziati vari. Invece così non è stato. Anche lui, «decisamente sprezzante nei confronti della religione», ha dovuto ammettere che a queste condizioni quella di rivolgersi a Dio è una possibilità da percorrere. Perché ci sono eventi tragici che scuotono le coscienze e che nessuno pare purtroppo nelle condizioni di fermare. Tranne Lui, s’intende.


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