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La dignità della Chiesa che piange il seminarista ucciso
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13 Febbraio 2020

La dignità della Chiesa che piange il seminarista ucciso

Si chiamava Michael Nnadi e avrebbe compiuto 19 anni tra pochi giorni, il 19 febbraio. Era un seminarista nigeriano ed è stato ucciso dopo un mese di torture da una banda criminale nel Paese africano. Un seminarista martire. Alla messa funebre il vescovo della sua diocesi, Sokoto, Matthew Hassan Kukah ha detto che la sua morte deve essere un punto di svolta. Perché? Perché la Nigeria ha vissuto per anni di «ipocrisia, doppiezza, falsa pietà, vuota moralità e fanatismo. E adesso è a un bivio. Sono parole molto gravi che mostrano il dolore di un vescovo che non ha saputo proteggere un suo seminarista dalla violenza cieca e ideologica nei confronti dei cristiani che sta insanguinando la Nigeria e di cui nessuno in Occidente si sta accorgendo.

Nnadi era stato rapito da uomini armati nel Seminario del Buon Pastore l’8 gennaio. Con lui c’erano anche altri 3 seminaristi, che però il 31 gennaio sono stati rilasciati:

Gli uomini armati, travestiti da militari camuffati, hanno sfondato la recinzione che circondava gli alloggi dei seminaristi e hanno sparato all’impazzata. Dopo aver rubato portatili e telefoni hanno puntato sui giovani studenti.

Il vescovo ha anche detto però di non piangere la sua morte perché questa è una «corona di onore e di gloria» perché «il martirio è la vittoria per i cristiani».

Il giovane Nnadi, aveva un fratello gemello, Rafhael, che pregando ha chiesto a Dio di perdonare gli autori del brutale assassinio. Anche questo non è scontato ed è un insegnamento per la nostra pigra fede occidentale. «Avremmo compiuto 19 anni la prossima settimana, ma purtroppo, Michael se n’è andato. Michael era così impegnato e amava le cose di Dio, che la sua scelta di diventare sacerdote non sorprese le persone che lo conoscevano. La mia consolazione è che non è morto invano, si è distaccato dalle cose del mondo, è morto nel servizio a Dio».

Le parole del gemello di Michael sono anche un atto d’amore verso la Chiesa nigeriana: «Ha fatto tanto per la sua liberazione, a cominciare dalla proclamazione di una settimana di preghiera e digiuno per la liberazione». Ebbene, proprio al termine della settimana di digiuno, i tre compagni sono stati liberati. Ma Michael, quello stesso giorno è stato ucciso».

L’unica persona con cui aveva potuto parlare era stata la nonna e l’unica cosa che gli era stato permesso di dire era: «Nonna, per favore, portate i soldi, sennò mi uccideranno oggi o domani». Sono state le sue ultime parole. La scuola si è subito attrezzata per il pagamento di un riscatto, ma non c’è stato tempo. Michael era già morto.

Ora il fratello auspica che «Dio abbia pietà dei carnefici di Michael: «Prego solo che Dio abbia pietà di loro e li perdoni». Sono testimonianze di fede che arrivano da terre dove essere cattolici non è affatto semplice.

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