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Il supporto della fede contro il suicidio
NEWS 2 Febbraio 2020    di Giuliano Guzzo

Il supporto della fede contro il suicidio

Spesso si preferisce – per comprensibili ragioni – non parlarne. Eppure lo scomodo tema del suicidio oggi si impone con la forza imponente dei numeri: secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno circa 800.000 persone si suicidano nel mondo. Significa che a togliersi la vita son circa 2.200 persone ogni giorno; oltre 90 al minuto. Numeri spaventosi. Basti pensare che nella sola Spagna, ogni anno, oltre 3.600 persone si danno la morte: il doppio di quelle che muoiono in incidenti stradali, 11 volte le vittime di omicidio e 80 volte le vittime di violenza domestica.

La musica non cambia molto negli Stati Uniti, dove si contano 129 suicidi al giorno, né in altri Paesi. D’accordo, ma cosa possiamo fare, soprattutto come cattolici, per contrastare questo fenomeno? Secondo Laura Lewis, studiosa della Ohio State University, ci sono almeno due considerazioni da tenere a mente.

Il primo riguarda la complessità del fenomeno. I fattori di rischio del suicidio, infatti, secondo la Lewis «spesso provengono da più parti»; l’esperta ricorda nello specifico fattori come il divorzio o gravi problemi finanziari; lo stress; la storia di un precedente suicidio in famiglia. Tutti elementi che possono essere tristemente predittivi del rischio di togliersi la vita.

Una seconda considerazione della Lewis riguarda la fede come uno dei grandi «fattori protettivi» contro il suicidio. A questo proposito, la studiosa ricorda che le persone con affiliazione religiosa mostrano livelli più elevati di supporto sociale, benessere e ragioni di vita – e quindi rischi molto più contenuti di suicidio. Si tratta di osservazioni delle quali non è difficile trovare riscontri nella letteratura, anzi.

Per esempio, un lavoro pubblicato sulla rivista JAMA Psychiatry nell’estate del 2016 ha messo in evidenza come, tra le donne americane, una partecipazione alle funzioni religiose una volta a settimana o più, sia stata associata ad un tasso di suicidi 5 volte più basso rispetto a quello rilevato che chi non va a messa.

Analogamente, una ricerca uscita una decina di anni fa sul Journal of Affective Disorders aveva messo in luce come chi non crede in Dio abbia il doppio delle probabilità di togliersi la vita rispetto a chi crede; Daniel Rasic, principale autore di quello studio, aveva così commentato i risultati di quella ricerca basata monitorando oltre 37.000 canadesi: «Quelli che sono andati in chiesa almeno una volta all’anno hanno abbassato la quota di tentati suicidi». E quelli che non lo hanno fatto hanno il doppio di possibilità di aver tentato il suicidio».

Curioso, rimanendo in tema, come tra i primi – se non proprio il primo – ad accorgersi di quanto la fede possa essere un fattore protettivo fu, nel lontano 1897, il sociologo positivista francese Emile Durkheim, i quale aveva notato tassi di suicidio più elevati nei cantoni svizzeri protestanti rispetto a quelli cattolici; secondo Durkheim, ciò era dovuto al fatto che nelle comunità cattoliche la coesione sociale era migliore. Sia come sia, per tornare a noi, è indubbio come la fede costituisca un formidabile antidoto al rischio di togliersi la vita; e questo non soltanto perché offre consolazione, come si potrebbe semplicisticamente pensare.

La vera forza della fede cattolica sta in qualcosa di molto più profondo, e cioè nel dare significato sia alla vita sia a quella cosa umanamente scandalosa che è il dolore innocente. Ne consegue come l’evangelizzazione, oltre ad esser chiaramente un bene per le anime, sia anche un arricchimento per la società tutta intera, anche se spesso si tende, purtroppo, a dimenticarlo.


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