Una multa da 870 mila dollari, così si è conclusa l’odissea giudiziaria di David Daleiden, che secondo una corte della California ha violato la proprietà privata e commesso una frode. In realtà Daleiden ha fatto tremare Planned Parenthood, il colosso delle cliniche e dei servizi per l’aborto, e oggi paga per il suo coraggio nel documentare e raccontare la verità.
Facciamo un passo indietro. Fino a quattro anni l’idea di mettere Planned Parenthood con le spalle al muro filmando i suoi dirigenti mentre ammettevano un traffico illegale di parti del corpo dei feti abortiti, e di produrre poi un documentario in grado di portare il Congresso americano a togliere i fondi a Planned Parenthood stessa, poteva sembrare utopica. Invece così è andata.
Deleiden, trentenne californiano, figlio di una gravidanza sofferta perché non cercata, pro life fin dall’adolescenza e fondatore del Center for Medical Progress, quattro anni fa è stato il protagonista di una clamorosa inchiesta giornalistica intitolata “Capitale Umano”, un’inchiesta durata quasi tre anni e che ha prodotto 12 video che hanno colpito al cuore la cultura abortista americana.
Infiltratosi con una telecamera nascosta Daleiden ha fatto emergere come nelle cliniche affiliate a Planned Parenthood si attuava un raccapricciante traffico di organi di bambini abortiti, attività che, per fruttare, necessita dell’integrità stessa delle parti richieste “dal mercato” – centri di ricerca – e implica delle procedure abortive atroci che arrivano fino all’uccisione del bambino parzialmente fuori dall’utero. Deleiden ha filmato diverse fasi di questa catena di montaggio della morte, ha raccolto testimonianze di dirigenti e dipendenti ed è riuscito nell’impresa di far approvare dal Congresso, come detto, un disegno di legge che ha privato in parte il colosso degli aborti dei fondi federali. Troppo per una realtà molto potente e per certi versi intoccabile, come intoccabile per il mondo occidentale il cosiddetto diritto all’aborto. E infatti Planned Parenthood non glielo ha perdonato, lo ha portato in tribunale, ha chiesto milioni di dollari di risarcimento per danni subiti e ha trovato un giudice pronto a dargli ragione. Gli avvocati di Daleiden hanno annunciato ricorso, ma intanto è doveroso fissare due punti rispetto a questa sentenza.
Come ha rimarcato nell’arringa finale l’avvocato Peter Breen, «questo non è un caso di frode o racket. Questo è un caso di giornalismo sotto copertura. E noi, il popolo, abbiamo bisogno di queste notizie. Tu hai bisogno di queste notizie. Potrebbero non piacerti, potrebbe essere difficile, o altro. Ma noi non vogliamo fermare il flusso dell’informazione. Un verdetto a favore della difesa è a favore del giornalismo investigativo, un verdetto contrario vuole zittirlo».
Nell’Anno Domini 2019, in quella che viene considerata la più grande potenza dell’Occidente, faro di democrazia, terra delle libertà, viene punito un giornalista semplicemente per aver raccontato quello che ha visto. E’ questa la libertà di informazione? E questa la libertà d’espressione? Può il cosiddetto “diritto all’aborto” essere più importante, per l’Occidente, del diritto alla verità?
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