Ci fosse Edoardo Bennato aggiungerebbe alla sua nuovissima hit “ho fatto un selfie” anche quello con la morte. Un selfie ci ucciderà. Salgono sui pennoni dei grattacieli più alti delle metropoli americane, oppure si arrampicano sulle vette dei dirupi e salgono sulle impalcature dei ponteggi più elevati. Alcuni si autoimmortalano dopo essere saliti sulla spalla del Cristo Redentore di Rio De Janeiro. E lì, invece di ammirare la splendida vista che si gode dal Corcovado della Baja di Guanabara orientano l’obiettivo del telefonino su di loro, alzano il loro selfie stick e scattano. La foto ritrae loro stessi, sorridenti, e alle loro spalle quasi sempre il vuoto, un oceano, una foresta, una distesa di palazzine che sembrano piccole come mattoncino di Lego.
Che cosa spinge sempre più giovani a realizzare selfie nei posti più estremi? Qual è il brivido che li anima e dà loro forza e coraggio per arrampicarsi come koala sfidando la legge di gravità e il più delle volte il buonsenso? L’obiettivo di scattare una foto unica? Deve esserci piuttosto del narcisismo galoppante perché il selfie in realtà è una foto che ritrae se stessi mostrando una realtà distorta da un grandangolare che non regala nulla in fatto di stupore. Solo vertigine, solo desiderio di sentirsi onnipotenti. C’è Narciso, ma c’è anche Prometeo che sfida le leggi della natura per regalare agli uomini il fuoco confidando solo sulla sua intelligenza, sulle sue forze.
Prometeo e Narciso sono le due figure mitologiche capaci di inquadrare una generazione che ama solo se stessa e per se stessa è disposta a morire.
C’è un sito web che addirittura li ha messi tutti in carrellata nelle loro “gesta” per il mondo, perché quella del dangerous selfie è ormai una categoria sociologica, una community che presto diventerà un lavoro remunerativo. Si scorrono le immagini e ognuno può farsi un’idea dell’autoscatto più ardito: uscendo dal finestrino del treno in corsa, a picco sulle cascate anche se i più gettonati sono quelli sulle antenne dei grattacieli.
Pronti alla morte, però. Un recente studio dell’americano Journal of Family Medicine and Primary Careha ha già contato la bellezza – si fa per dire – di 259 persone morte mentre si facevano selfie. Non sono martiri, non sono suicidi, non sono incidenti sul lavoro e nemmeno omicidi. Ma neppure morti per puro sballo. Sono morti incatalogabili dai bollettini di polizia. Forse bisognerebbe introdurre la morte per narcisistici motivi, l’infortunio per prometeica stupidità per poter capire qualche cosa di quello che sta accadendo in molti giovani. Di sicuro, mettere a repentaglio la vita per un obiettivo così misero, la dice lunga sul valore che si dava a quella vita. Inghiottita come nel lago di Narciso per soddisfare in fondo il proprio egoismo.
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