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Veritatis splendor inno al Bene assoluto per cui vale la pena morire
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29 Luglio 2019

Veritatis splendor inno al Bene assoluto per cui vale la pena morire

Pubblichiamo di seguito lo stralcio della conferenza dell’allora prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, cardinale Joseph Ratzinger, tenuta il 9 maggio 2003 in occasione dei venticinque anni di pontificato di Giovanni Paolo II. Si tratta del passaggio dedicato all’enciclica Veritatis splendor pubblicata nel 1993.

di Joseph Ratzinger

« (…) La “Veritatis splendor” non solo affronta la crisi interna della teologia morale nella Chiesa, ma appartiene al dibattito etico di dimensioni mondiali che oggi è divenuto una questione di vita o di morte per l’umanità.

Contro una teologia morale che nel secolo XIX si era ridotta in modo sempre più preoccupante a casuistica, già nei decenni anteriori al Concilio si era messo in moto un deciso movimento di opposizione. La dottrina morale cristiana si sarebbe dovuta formulare nuovamente dalla sua grande prospettiva positiva a partire dal nucleo della fede, senza considerarla come un elenco di proibizioni.

L’idea dell’imitazione di Cristo e il principio dell’amore si svilupparono quali direttrici fondamentali a partire da cui avrebbero potuto organizzarsi i diversi elementi della dottrina. La volontà di lasciarsi ispirare dalla fede come nuova luce che rende trasparente la dottrina morale aveva portato ad allontanarsi dalla versione giusnaturalista della morale in favore di una costruzione di taglio biblico e storico-salvifico.

Il Concilio Vaticano II aveva confermato e riaffermato queste messe a fuoco. Ma l’intenzione di costruire una morale puramente biblica risultò impossibile di fronte alle domande concrete dell’epoca. Il puro biblicismo, precisamente nella teologia morale, non è un percorso possibile. Così, in modo sorprendentemente rapido, dopo una breve fase nella quale si cercò di dare alla teologia morale un’ispirazione biblica, si cercò una spiegazione puramente razionale dell’ethos, ma il ritorno al pensiero giusnaturalista risultò impossibile; la corrente antimetafisica, che talvolta aveva contribuito all’intenzione biblicista, faceva sì che il diritto naturale sembrasse un modello antiquato ed inadeguato.

Si restò alla mercé di una razionalità positivista che non riconosceva più il bene in quanto tale. “Il bene è sempre – diceva allora un teologo morale – solo meglio di…“: il calcolo delle conseguenze restava il criterio. Morale è ciò che sembra più positivo, tenendo conto delle conseguenze prevedibili. Non sempre il consequenzialismo fu applicato in modo così radicale. Ma alla fine si giunse ad una costruzione tale da dissolvere quanto è morale, poiché il bene in quanto tale non esiste. Per quel tipo di razionalità neppure la Bibbia ha qualcosa da dire. La Sacra Bibbia può dare motivazioni, ma non contenuti.

Ma se le cose stessero così, il cristianesimo come “via” – quale dovrebbe e vorrebbe essere – avrebbe un esito disastroso. E se prima, dall’ortodossia si era giunti all’ortoprassi, ora l’ortoprassi si trasforma in una tragica ironia: perché in fondo non esiste.

Il Papa, al contrario, tornò con grande decisione a dare legittimità alla prospettiva metafisica, che è solo una conseguenza della fede nella creazione. Una volta di più, partendo dalla fede nella creazione, riesce a collegare e fondere l’antropocentrismo e il teocentrismo: “la ragione trae la sua verità e la sua autorità dalla legge eterna, che non è altro che la stessa sapienza divina. […] La legge naturale infatti, […] altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio” ” (“Veritatis splendor”, 40). Proprio perché il Papa è favorevole alla metafisica in virtù della fede nella creazione può anche comprendere la Bibbia come Parola presente, unire la costruzione metafisica e biblica dell’ethos. Una perla dell’enciclica, significativa tanto filosoficamente che teologicamente, è il grande passaggio sul martirio. Se non c’è più nulla per cui valga la pena di morire, allora anche la vita risulta vuota. Solo se esiste il bene assoluto, per il quale vale la pena di morire, ed il male eterno che mai si trasforma in bene, l’uomo è confermato nella sua dignità e ci troviamo protetti dalla dittatura delle ideologie».

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