del card. Giacomo Biffi (dalla riflessione nel corso della processione delle palme, Basilica di S. Petronio del 23/03/1997, Bologna)
“Perché questo spreco?”. Questa domanda ci porta a Betania, la sera del Sabato prima dell’ingresso in Gerusalemme. Era stato preparato un convito in onore di Gesù; ma era un convito senza allegria. C’era nell’aria – impalpabile e inafferrabile – l’odore dell’odio e del tradimento.
Maria, la sorella di Lazzaro, per dissipare questa atmosfera decide di compiere un insolito e clamoroso gesto di affetto.
Prese “un vasetto di alabastro, pieno di olio profumato… di gran valore; ruppe il vasetto di alabastro e versò l’olio profumato sul capo” del Signore (Cf Mc 14,3).
“Tutta la casa si riempì del profumo” (Gv 12,3): e così tutti – anche chi non era nella sala, anche chi si trovava in cucina – si accorgono della pazzia di Maria. L’amore vero non bada alle opinioni malevoli di nessuno, ma non può farsi conoscere da tutti.
Tutta la casa di Dio, tutta la Chiesa è avvolta dal profumo di Maria sino alla fine del mondo. Tutta la Chiesa ha imparato dalla sorella di Lazzaro che senza un amore diretto, personale, vivo per il Signore Gesù e per la sua gloria, niente ha valore, niente conta, niente è autentico nel cristianesimo: nemmeno l’attenzione ai problemi umani, nemmeno l’attivismo benefico, nemmeno la partecipazione ai travagli del nostro tempo.
Ma c’è sempre qualcuno che non capisce. C’era allora e c’è oggi; c’era a Betania e c’è nella cristianità del nostro tempo. Non capisce che si possa dare qualcosa dei propri beni per rendere onore al Signore; non capisce che si possa dedicare un po’ del proprio tempo a contemplare il Signore nella preghiera; non capisce che si possa consacrare tutta la vita unicamente a Cristo. Non capisce insomma le esigenze, la logica, il linguaggio dell’amore.
“Si poteva benissimo vendere quest’olio a più di trecento denari e darlo ai poveri” (Mc 14,5). È il ragionamento del “piuttosto”, e lo ascoltiamo spesso anche ai nostri giorni.
“Piuttosto che andare in Chiesa, è meglio fare del bene agli altri”. “Piuttosto che costruire un altare è meglio costruire delle case”. “Piuttosto che sciupare il tempo nelle preghiere, è meglio lavorare a qualcosa di pratico”.
Perché “piuttosto”? Perché non si può fare tutto? E perché non si dice mai: “Piuttosto che spendere i soldi ad andare a sciare o al mare, o piuttosto che comprare il motorino è meglio soccorrere i bisognosi? Perché non si capisce che proprio un immediato e appassionato amore per il Signore Gesù è sempre stato l’impulso più efficace a ogni opera di solidarietà verso i fratelli, come ci insegnano tutti i grandi santi della carità?
Non mettiamoci alla scuola di Giuda; mettiamoci alla scuola di Maria di Betania che, con gli occhi resi acuti dall’innocenza del suo cuore e dall’intensità del suo affetto, penetra nei giorni futuri e vede Gesù umiliato, schiacciato, crocifisso, come lo contempleremo noi nei prossimi giorni. È lui il “povero” da soccorrere con un po’ d’amore.
“Erano infuriati contro di lei” (Mc14,5), ci ha detto il Vangelo. Ma Gesù, difendendola, ci imparte una lezione da non dimenticare: “Lasciatela stare; perché le date fastidio? … In verità vi dico che dovunque, in tutto il mondo, sarà annunziato il Vangelo, si racconterà pure in suo ricordo ciò che ella ha fatto” (Cf Mc 14,6.9)
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