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Quando le nostre nonne facevano figli sotto le bombe
NEWS 8 Aprile 2019    di Lorenzo Bertocchi

Quando le nostre nonne facevano figli sotto le bombe

La notizia è di questi giorni, l’anno prossimo 70.000 studenti in meno nelle aule scolastiche. Le proiezioni al 2028, scrive Orrizontescuola.it, indicano un calo di studenti dalla scuola dell’infanzia a quella secondaria di secondo grado pari al 13%-11%. In termini assoluti, corrisponde a una diminuzione di circa un milione di studenti.

La tendenza è segnata e prosegue da un po’ di anni, e non è nemmeno una grande scoperta. Se gli italiani non fanno più figli il risultato è questo, e l’Italia è dentro al peggior inverno demografico che si possa immaginare. Con i dati Istat alla mano, nel 2018 i nuovi nati sono stati 449.000, il numero peggiore dall’Unità d’Italia, con un bilancio tra nati e morti in negativo di 187.000 unità (nel 2017 era ancora peggio, – 191.000).

I numeri non lasciano scampo. Oggi tocca alla scuola, domani sarà il turno del mondo del lavoro, quindi il problema del welfare e, in particolare, quello delle pensioni da pagare.

Tutti, ma proprio tutti, a volte anche taluni uomini di chiesa, si ritrovano a condividere che la causa per cui oggi gli italiani non fanno più figli è quella economica. Ma è piuttosto curioso leggere le statistiche storiche dell’Italia, perché si nota che nel periodo 1940 – 1945, cioè durante la seconda guerra mondiale, nascevano figli (una media di circa 900.000 nati all’anno) allo stesso ritmo dei favolosi anni Cinquanta e Sessanta, cioè in pieno boom economico italiano. Insomma, le nostre nonne e bis-nonne i figli li facevano anche sotto le bombe, e con ben scarse prospettive economiche e sanitarie.

Sarebbe importante allora che anche i pro family impegnati nel dibattito sociale e politico non dimenticassero che oltre alle misure economiche, per quanto importanti, c’è di più.

San Giovanni Paolo II in una sua enciclica, Evangelium vitae, scriveva «che siamo di fronte a una realtà più vasta, che si può considerare come una vera e propria struttura di peccato, caratterizzata dall’imporsi di una cultura anti-solidaristica, che si configura in molti casi come vera «cultura di morte». Essa è attivamente promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società». E, in un altro passo, annotava che esiste «una mentalità edonistica e deresponsabilizzante nei confronti della sessualità», accompagnata da «un concetto egoistico di libertà che vede nella procreazione un ostacolo al dispiegarsi della propria personalità. La vita che potrebbe scaturire dall’incontro sessuale diventa così il nemico da evitare assolutamente e l’aborto l’unica possibile risposta risolutiva di fronte ad una contraccezione fallita».


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