Non tutti anzi per la verità pochi lo sanno ma Scarlett Johansson, oltre che attrice, modella, cantante e doppiatrice, è anche una vittima di un particolare tipo di bullismo virtuale – ma non per questo poco concreto: quello dei deepfake. Di che si tratta? In breve, per deepfake deve intendersi quell’insieme di tecniche che permettono all’intelligenza artificiale di imparare a riconoscere le forme, le strutture, gli oggetti e le persone, così da poter cambiare il volto di un individuo con quello di un altro a partire dal computer, realizzando dei video a tutti gli effetti fasulli anche se a prima vista così realisti da apparire autentici.
Ebbene, è successo che tramite i deepfake la Johansson si sia trovata, suo malgrado, protagonista di dozzine di video pornografici che, in Rete, hanno totalizzato oltre un milione di visite. La sex symbol non è la sola star di Hollywood cui, per usare un eufemismo, è stato fatto questo «brutto scherzo» – al pari suo, ne sono state vittime attrici quali Gal Gadot, Emma Watson, Jennifer Lawrence, Daisy Ridley -, ma è certamente fra le più bersagliate da questa nuova frontiera della violenza tecnologica. E proprio di questo ha parlato nei giorni scorsi col Washington Post.
«Internet è solo l’ennesimo luogo», ha spiegato la celebre attrice, «dove il sesso è mercificato e le persone vulnerabili risultano vittime». Il motivo di tutto ciò, e quindi del triste successo dei deepfake, lo ha evidenziato lei stessa: «Oggi nulla può impedire a qualcuno di tagliare e incollare la mia immagine, o quella di qualcun altro, su un altro corpo e farlo sembrare tanto stranamente realistico quanto desiderato». In effetti, un contrasto a questa forma di violenza sarà sempre più difficile se si pensa che oramai esistono dispositivi come FakeApp, programma liberamente disponibile per il download che non richiede competenze di programmazione e può essere utilizzato da chiunque abbia il tipo di computer in grado di eseguire videogiochi dettagliati.
«Il fatto», ha sottolineato a questo proposito la Johansson, «è che cercare di proteggersi da internet e dalla sua depravazione, nella maggior parte dei casi, è fondamentalmente una causa persa». Parole, quelle che l’attrice ha rilasciato al Washington Post, che sanno di rassegnazione rispetto alla potenza incontenibile non solo di una forma di neobullismo ma di vera e propria manipolazione. Tanto più che pare che l’inventore di FakeApp si stia facendo in quattro per far sì che la sua tecnologia di scambio facciale diventi più facilmente accessibile ed utilizzabile e in tanti temono che, da qui alla produzione di video falsi che possano addirittura destabilizzare governi se non causare conflitti internazionali, il passo possa essere breve.
Ora, dinnanzi a tutto ciò, quale deve essere l’atteggiamento del cattolico? E quale, soprattutto, il giudizio verso l’ondata di deepfake? In estrema sintesi, occorre comprendere come quello cui si sta assistendo è solo un’evoluzione del degrado morale legato alla pornografia. Che è un po’ quello che ha compreso anche la Johansson, quando ha parlato dell’ennesimo «luogo dove il sesso è mercificato». Il punto è che occorre capire che non solo dietro il deepfake c’è la pornografia, ma anche che il successo del porno è dovuto ad un mix fra l’erotizzazione sfrenata e il caos morale ad essa conseguente. Ne consegue come sarebbe inutile condannare la pur gravissima violenza 2.0 senza poi risalire alle fonti di questa piaga. Si avrà l’onestà intellettuale per farlo come società, prima che come industria cinematografica? Il cuore della questione, in fondo, è tutto qui.
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