Donald Trump ha firmato martedì la legge che impegna il governo statunitense a indirizzare gli aiuti umanitari alle minoranze etniche e religiose originarie dell’Iraq e della Siria e più esposte alle persecuzioni, come i cristiani e gli yazidi. La legge, intitolata Iraq and Syria genocide relief and accountability Act (H.R. 390), individua l’Isis come responsabile di «genocidio, crimini contro l’umanità e altre atrocità» nei confronti di cristiani e yazidi, nonché verso la minoranza sciita presente in quelle terre. Questo riconoscimento si basa su due precedenti dichiarazioni del segretario di Stato americano, la prima del 17 marzo 2016 e la seconda del 15 agosto 2017, coinvolgendo dunque sia l’attuale amministrazione sia la gestione Obama. In effetti la legge, presentata dal repubblicano Chris Smith, è stata approvata all’unanimità questo autunno sia al Senato sia alla Camera. Il suo iter, comunque, non è stato semplicissimo, visto che nel complesso ci sono voluti 17 mesi prima di arrivare all’approvazione.
Tra i presenti al momento della firma c’erano monsignor Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, l’ambasciatrice americana presso la Santa Sede, Callista Gingrich, il leader dei Cavalieri di Colombo, Carl Anderson e diversi altri. Trump ha definito «un grande onore» poter firmare questa legge, che allarga ai gruppi basati sulla fede religiosa (faith-based entities) la possibilità di ricevere finanziamenti da indirizzare all’assistenza, al recupero e alla stabilizzazione delle comunità che hanno subito persecuzioni in Siria e Iraq, spesso venendo costrette ad abbandonare la loro terra d’origine. Tra i gruppi già attivi in questo senso ci sono appunto i Cavalieri di Colombo, la più grande organizzazione cattolica di servizio fraterno (conta quasi due milioni di membri in tutto il mondo) che dal 2014 ha donato 20 milioni di dollari per aiutare i cristiani e altre minoranze perseguitate in Siria e Iraq, provvedendo a cibo, alloggi e altri bisogni.
A sostenere il disegno di legge firmato da Trump sono stati anche diversi altri gruppi cristiani, variamente impegnati nella difesa della libertà religiosa, come il Family Research Council, il Religious Freedom Institute, l’associazione In Defense of Christians (Idc), nata proprio con il fine di proteggere la cristianità nel Medio Oriente («dove tutto ebbe inizio», ricorda il motto), la Conferenza episcopale statunitense, i battisti della Southern Baptist Convention, ecc.
La nuova legge impegna il segretario di Stato, in collaborazione con altri enti statali, a fornire assistenza per indagini su sospetti membri dell’Isis nonché a incoraggiare i governi stranieri verso la creazione di adeguati database e verso l’apertura di un procedimento penale nei confronti dei soggetti identificati come responsabili di genocidi e altri crimini contro l’umanità.
In Iraq i cristiani erano tra gli 800 mila e 1,4 milioni nel 2002, mentre nel 2017 la loro presenza nella regione era crollata a meno di 250 mila persone [nella foto della Cna, un centro di sfollati interni a Dawodiya, la maggior parte dei quali cristiani; aprile 2016]. In Siria, nel 2010, i cristiani erano circa l’8-10% della popolazione totale ma in conseguenza dello scoppio della guerra civile – alimentata da una galassia di sigle fondamentaliste islamiche, che hanno goduto dell’appoggio velato o aperto anche di potenze e grandi media occidentali – il loro numero si è drasticamente ridotto.
Il vicepresidente Mike Pence è stato tra i maggiori sostenitori della necessità di coinvolgere nella gestione dei programmi di aiuto i gruppi fondati sulla comune appartenenza religiosa, criticando le agenzie che fanno capo all’Onu. In particolare, il 25 ottobre 2017, aveva detto: «Non ci affideremo più solo alle Nazioni Unite per aiutare i cristiani perseguitati e le minoranze», spiegando che le agenzie federali statunitensi avrebbero lavorato in futuro al fianco di «gruppi di fede e organizzazioni private per aiutare coloro che sono perseguitati per la loro fede». Nell’occasione, una cena di solidarietà organizzata a Washington dall’Idc, Pence aveva aggiunto che «i gruppi di ispirazione religiosa con provata competenza e radici profonde in quelle comunità sono più che desiderosi di aiutare», denunciando invece che «le Nazioni Unite troppo spesso ignorano le loro richieste di finanziamento».
Oltre a sostenere le famiglie rimaste, vanno aiutate quelle costrette alla fuga a fare ritorno nella loro patria. Perciò monsignor Warda, pochi giorni prima della firma di Trump, aveva detto che una legge del genere potrebbe essere «un punto di luce alla fine del tunnel».
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