Esulto e gioisco nel Signore, l’anima mia si allieta nel mio Dio, perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia, come una sposa adornata di gioielli. Nella solennità dell’Immacolata Concezione, la liturgia si apre con l’antifona che richiama un celebre passo del profeta Isaia (Is 61, 10). Il culto liturgico dell’Immacolata si è sviluppato parallelamente alla crescita della consapevolezza da parte della Chiesa sull’assenza in Maria Santissima, fin dall’istante del concepimento, di qualsiasi traccia di peccato originale, per sublime disposizione della Divina Provvidenza e in virtù dei meriti infiniti del Figlio incarnatosi nel suo grembo verginale. La festa della Concezione si diffuse prima in Oriente, dove è attestata da almeno l’VIII secolo, radicandosi poi in Occidente, a partire dall’Italia meridionale dove venne importata da monaci bizantini.
Prima di arrivare alla solenne definizione del dogma, implicito nella Sacra Scrittura e inscindibilmente legato a ogni altra verità sulla Vergine a cominciare dalla grazia della sua Maternità Divina, vi furono secoli di approfondimenti teologici e, specie nel Basso Medioevo, dispute tra macolisti e immacolisti, con i primi che credevano sostanzialmente in una redenzione anticipata di Maria ma dopo il suo concepimento, mentre i secondi spiegavano, a ragione, che la Beata Vergine era stata preservata dal peccato originale fin dall’istante in cui sant’Anna l’aveva concepita. Già dal XV secolo, grazie anche alla propagazione del fondamentale contributo teologico del «Cantore dell’Immacolata», il beato Giovanni Duns Scoto (1265-1308), i teologi erano per la grande maggioranza concordi nel sostenere l’Immacolata Concezione; e diversi pontefici – come Sisto IV (nel 1483), Paolo V, Gregorio XV, Alessandro VII – si erano espressi a favore del dogma.
I tempi per la sua proclamazione, dopo diverse suppliche indirizzate alla Santa Sede da tutto il popolo di Dio (vescovi, cardinali, ordini religiosi, sovrani e comuni fedeli), furono infine maturi con il beato Pio IX, il quale l’8 dicembre 1854 emanò la costituzione apostolica Ineffabilis Deus, che oltre a ricostruire i passaggi principali di questa storia di fede è anche un inno di commossa lode filiale alla Madre celeste e a maggior gloria di Dio. Ne riportiamo alcuni estratti.
INEFFABILIS DEUS…
«Dio ineffabile, le vie del quale sono la misericordia e la verità; Dio, la cui volontà è onnipotente e la cui sapienza abbraccia con forza il primo e l’ultimo confine dell’universo e regge ogni cosa con dolcezza, previde fin da tutta l’eternità la tristissima rovina dell’intero genere umano, che sarebbe derivata dal peccato di Adamo. Avendo quindi deciso, in un disegno misterioso nascosto dai secoli, di portare a compimento l’opera primitiva della sua bontà […] scelse e dispose che al Figlio suo Unigenito fosse assicurata una Madre dalla quale Egli, fatto carne, sarebbe nato nella felice pienezza dei tempi. E tale Madre circondò di tanto amore, preferendola a tutte le creature, da compiacersi in Lei sola con un atto di esclusiva benevolenza».
«Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull’antico serpente».
DEPOSITO DELLA FEDE E ORIGINI DEL CULTO
«La Chiesa Cattolica che – da sempre ammaestrata dallo Spirito Santo – è il basilare fondamento della verità, considerando come dottrina rivelata da Dio, compresa nel deposito della celeste Rivelazione, questa innocenza originale dell’augusta Vergine unitamente alla sua mirabile santità, in perfetta armonia con l’eccelsa dignità di Madre di Dio, non ha mai cessato di presentarla, proporla e sostenerla con molteplici argomentazioni e con atti solenni sempre più frequenti. Proprio la Chiesa, non avendo esitato a proporre la Concezione della stessa Vergine al pubblico culto e alla venerazione dei fedeli, ha offerto un’inequivocabile conferma che questa dottrina, presente fin dai tempi più antichi, era intimamente radicata nel cuore dei fedeli e veniva mirabilmente diffusa dall’impegno e dallo zelo dei Vescovi nel mondo cattolico».
«Per questo essa era solita inserire negli uffici ecclesiastici e nella sacra Liturgia, riferendole anche alle origini della Vergine, le stesse identiche parole impiegate dalla Sacra Scrittura per parlare della Sapienza increata e per descriverne le origini eterne, perché entrambe erano state preordinate nell’unico e identico decreto dell’Incarnazione della Divina Sapienza».
L’ECCEZIONE DEL CONCILIO DI TRENTO
«A tutto ciò si aggiunge il fatto, decisamente assai rilevante e del massimo peso, che lo stesso Concilio di Trento, quando promulgò il decreto dogmatico sul peccato originale, nel quale, sulla scorta delle testimonianze della Sacra Scrittura, dei Santi Padri e dei più autorevoli Concili, stabilì e definì che tutti gli uomini nascono affetti dal peccato originale, dichiarò tuttavia solennemente che non era sua intenzione comprendere in quel decreto, e nell’ambito di una definizione così generale, la Beata e Immacolata Vergine Maria Madre di Dio».
LE PAROLE DEGLI ANTICHI PADRI VERSO LA VERGINE
«Per descrivere debitamente quest’insieme di doni celesti e l’innocenza originale della Vergine dalla quale è nato Gesù, i Padri ricorsero alle parole dei Profeti ed esaltarono questa divina, santa Vergine, come una pura colomba, come una Santa Gerusalemme, come un eccelso trono di Dio, come un’arca della santificazione, come la casa che l’eterna Sapienza si è edificata, come quella Regina straordinaria che, ricolma di delizie e appoggiata al suo Diletto, uscì dalla bocca dell’Altissimo assolutamente perfetta e bella, carissima a Dio e mai contaminata da alcuna macchia di peccato». […]
«Proprio questa dottrina era a tal punto radicata nella mente e nell’animo degli antenati, che divenne abituale l’uso di uno speciale e straordinario linguaggio. Lo impiegarono spessissimo per chiamare la Madre di Dio Immacolata, del tutto Immacolata; innocente, anzi innocentissima; illibata nel modo più eccelso; santa e assolutamente estranea al peccato; tutta pura, tutta intemerata, anzi l’esemplare della purezza e dell’innocenza; più bella della bellezza; più leggiadra della grazia; più santa della santità; la sola santa, purissima nell’anima e nel corpo, che si spinse oltre la purezza e la verginità; la sola che diventò, senza riserve, la dimora di tutte le grazie dello Spirito Santo, e che si innalzò al di sopra di tutti, con l’eccezione di Dio: per natura, più bella, più graziosa e più santa degli stessi Cherubini e Serafini e di tutte le schiere degli Angeli. Nessun linguaggio, né del cielo né della terra, può bastare per tesserne le lodi».
LA SOLENNE DEFINIZIONE DEL DOGMA
«Perciò, dopo aver presentato senza interruzione, nell’umiltà e nel digiuno, le Nostre personali preghiere e quelle pubbliche della Chiesa, a Dio Padre per mezzo del suo Figlio, perché si degnasse di dirigere e di confermare la Nostra mente con la virtù dello Spirito Santo; dopo aver implorato l’assistenza dell’intera Corte celeste e dopo aver invocato con gemiti lo Spirito Paraclito; per sua divina ispirazione, ad onore della santa e indivisibile Trinità, a decoro e ornamento della Vergine Madre di Dio, ad esaltazione della Fede cattolica e ad incremento della Religione cristiana, con l’autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli» (fonte).
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