«Si va avanti bene solo conoscendo da dove si viene. La cultura è una sporca faccenda», rispose don Camillo, «perché quando un discorso non si può tradurre in dialetto significa che è una parola in aria. Voi fate pure della filosofia e della politica, noi andiamo allo stand gastronomico dove il progresso non si arresta».
Don Camillo si è ritirato sul crinale insieme a Peppone. E si ritrovano al belvedere a guardare verso la Bassa, dove sembra che l’acqua abbia smesso di andare dall’alto al basso e la cultura abbia vinto la natura. E Peppone ha perso i riferimenti politici, ma il reverendo parroco ha conservato il Crocifisso dell’altar maggiore. Per questo al bar continuavano a chiamarlo don Camillo.
Sono brevi storie di un mondo piccolo ai giorni nostri, preparate leggendo e rileggendo la ricetta doc di Giovannino Guareschi.
Le conoscono, queste storie, i lettori del Timone, che da più di due anni leggono la rubrica “don Camillo sul crinale”. C’è la Desolina, perpetua sempre sul pezzo; la nipote Lucy, fashion blogger per passione; gli arzilli del Tresette accampati al bar; l’Assessora alla cultura, all’avanguardia del progresso; uno squadrone di badanti polacche pronte a un rosario al confine.
Ora sono tutti in un libro e ogni storia è illustrata da Tommaso Arzeno di Renoir. A voi, se vi pare, non resta che leggere. (Lorenzo Bertocchi, E continuavano a chiamarlo don Camillo, Cantagalli, pagg. 85, € 10,00. Lo trovate in libreria o negli stores on line, ad esempio QUI o QUI)
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