C’è un evento storico, in Italia, che è quasi un tabù: raramente si studia a scuola, non è tema da salotti televisivi, non si denuncia pubblicamente… e, nel contempo, si opera per mitigarne la portata e per celare i nomi e l’identità dei persecutori, semplicemente in quanto il suo colore esula dai canoni consuetudinari. Stiamo parlando del drammatico evento delle Foibe e delle migliaia di persone che ne sono stati vittime per un motivo che il famoso pugile Nino Benvenuti riassume in una frase: «Ci chiamavano fascisti; eravamo italiani». Eppure dire che il comunismo è un’ideologia pericolosa e contraria al bene dell’umanità tanto quanto il nazionalsocialismo è ancora oggi difficile: nonostante a parlare siano i fatti, i numeri, le testimonianze.
Ad andare contro questo diktat del politically correct ci pensa il film Red Land – Rosso Istria, opera prima di Maximiliano Hernando Bruno che, dopo una faticosa genesi protrattasi per sette anni, è uscito il 15 novembre in un numero limitatissimo di sale cinematografiche italiane (qui l’elenco) e che sta pagando lo scotto della verità con quello che il Ministro Matteo Salvini non ha esitato a definire, sul suo profilo Twitter un vero e proprio «boicottaggio». Ma un film che, nell’auspicio del regista, dovrebbe «[…] colmare il vuoto emozionale con cui molte persone si relazionano al dramma delle foibe. Bisogna far ascoltare queste urla di morte e urlare insieme a loro».
La pellicola, crudemente realistica, racconta la storia di Norma Cossetto (interpretata da un’ottima Selene Gandini), giovane istriana, torturata, violentata e uccisa dai partigiani titini, che la gettarono viva nella foiba di Villa Surani il 5 ottobre del 1943 e che viene qui assunta a simbolo di un intero popolo, che per troppi anni ha subito l’umiliazione del silenzio. Ecco la sua storia descritta nelle parole della sorella, Licia Cossetto: «Norma avrebbe potuto salvarsi qualora avesse aderito alle richieste dei suoi assassini che le proposero di restare con loro e di diventare Croata: cosa che lei respinse coraggiosamente, alla luce della sua fedeltà alla Patria. Allora, la portarono ad Antignana, la legarono a un tavolo col filo di ferro uncinato ai polsi e alle gambe: erano una ventina, e fecero di lei quello che volevano, torturandola ed usandole ripetute violenze. Norma chiedeva acqua e chiamava la mamma, ma nessuno si mosse a pietà. Non sarò tanto diplomatica, diversamente da altri. Ho il dente avvelenato perché lo Stato Italiano si è ricordato di noi troppo tardi». Solamente nel 2006, infatti, l’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi concesse a Norma la Medaglia d’Oro al Valore, mentre è di due anni prima, nel 2004, la decisione – presa peraltro a fatica – del Parlamento italiano d fissare per il 10 febbraio il “Giorno del ricordo” (che volutamente si distingue anche nel nome dal “Giorno della memoria”, il 27 gennaio), per commemorare le migliaia di italiani vittime delle Foibe, tanti dei quali ancora senza nome.
Prosegue quindi Licia, andando a indagare quella parte di storia troppo spesso taciuta, in quanto forse troppo scomoda per essere riconosciuta: «Bisogna informare meglio, anche sulla consueta versione secondo cui il martirio istriano avrebbe avuto luogo a causa esclusiva dei partigiani slavi di Tito. In realtà, loro occuparono subito qualche centro maggiore, all’indomani dell’8 settembre 1943, ma in quelli minori furono i partigiani locali – nostri concittadini italiani! – a scatenarsi: venivano di notte a farci alzare e a sparare sopra i letti, e anche gli assassini di mia sorella erano compaesani comunisti, che ricordo benissimo uno per uno. Costoro hanno persino la pensione dell’Inps, compresi i superstiti del gruppo che aveva torturato e infoibato Norma».
Questa è la storia, senza sconti, raccontata in Red Land – Rosso Istria. Una versione appunto scomoda, che ancora si tenta di censurare, ma che finalmente inizia a emergere e a farsi spazio.
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