L’impegno pro life dell’amministrazione Trump sta interessando anche la terminologia adottata nei documenti internazionali, con particolare riguardo a quelli definiti in sede Onu. E questo impegno disturba (come pure la volontà di definire il concetto di genere in base al sesso biologico, di cui questo giornale ha già scritto), tanto che negli ultimi giorni ci sono state fughe di notizie su documenti interni del Dipartimento di Stato americano, da parte di alcuni funzionari ostili al nuovo corso repubblicano su temi come la difesa della vita nascente e la famiglia.
Alle fughe di notizie hanno fatto seguito degli articoli, in chiave negativa, di Foreign Policy e Politico (il primo del 30 ottobre, che lamenta l’influenza dei «cristiani conservatori» nelle politiche di questo governo, e il secondo del 31), entrambi alfieri della stampa cosiddetta liberal. Ebbene, dai resoconti dei due giornali emerge che il Dipartimento di Stato ha chiesto al personale diplomatico di agire affinché in ambito internazionale si evitino espressioni come «educazione sessuale onnicomprensiva» e «salute sessuale e riproduttiva».
La prima espressione si accompagna al tentativo di una sessualizzazione precoce dei bambini, con annessi insegnamenti nelle scuole sull’uso dei contraccettivi, l’aborto, la normalizzazione di omosessualità e transessualità, et similia. Fin qui è stata rigettata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (dove sono rappresentati tutti gli Stati membri), ma le agenzie dell’Onu – tra cui l’Unesco, l’Unicef, l’Unfpa e l’Oms – continuano comunque a operare a livello di singoli governi per fare in modo che inseriscano nei loro curriculum scolastici le idee su cui la stessa «educazione sessuale onnicomprensiva» si fonda.
Riguardo all’espressione «salute sessuale e riproduttiva», è andata radicandosi nei documenti dell’Onu fin dalla Conferenza internazionale del Cairo su popolazione e sviluppo (1994): è noto che i suoi promotori l’hanno sempre considerata come un sinonimo di aborto, nonostante molti Paesi – specie del Sud del mondo – abbiano sempre rigettato questa interpretazione. Come nota Susan Yoshihara, vicepresidente del Center for Family (C-Fam), questo termine non smette di avere la sua forte carica di ambiguità: «Le nazioni donatrici occidentali includono abitualmente l’aborto nei loro programmi all’estero di salute sessuale e riproduttiva, mentre le nazioni beneficiarie cercano di accettare quei finanziamenti senza violare le proprie leggi a protezione dei nascituri. Il personale delle Nazioni Unite ignora la volontà degli Stati membri e usa il termine per ottenere sostegno politico e finanziario per l’aborto nei programmi di aiuti internazionali».
Giusto qualche settimana fa, il comitato dell’Onu che monitora l’ottemperanza della Convenzione per i diritti delle persone con disabilità ha detto a Malta, e di conseguenza a tutte le altre nazioni aderenti, di non poter escludere l’aborto dalla «salute sessuale e riproduttiva» come il piccolo Paese (l’unico dell’Unione europea in cui l’aborto è illegale) aveva invece fatto in una sua riserva scritta al momento della ratifica del trattato. È dunque un bene che l’amministrazione Trump stia cercando di contrastare la diffusione di questo linguaggio, sia sul piano internazionale che interno.
All’inizio di quest’anno il Dipartimento di Stato ha rimosso il riferimento ai «diritti riproduttivi» nel suo rapporto annuale sui diritti umani, nella consapevolezza del significato ambiguo che riveste l’espressione. Si tratta, nota ancora la Yoshihara, di un’inversione a U per le politiche del Dipartimento di Stato degli ultimi 25 anni, da quando cioè l’amministrazione Clinton iniziò ad adoperare la terminologia sulla «salute sessuale e riproduttiva» e i «diritti riproduttivi», rimasta perlopiù invariata fino a oggi.
Questa battaglia sulla neolingua procede di pari passo con quella che si gioca sulla Protecting Life in Global Health Assistance (un’estensione della Mexico City Policy di Reagan, misura che i democratici hanno sempre cancellato), cioè la rinnovata politica che blocca i finanziamenti pubblici alle ong abortiste operanti all’estero, ma solo in parte. Nonostante questa misura sia stata migliorata rispetto al passato, permangono infatti dei punti deboli: a non essere finanziate sono solo le ong che diffondono l’aborto come «metodo di pianificazione familiare», mentre non sussiste nessun blocco dei fondi per gli aborti procurati in caso di pericolo di vita per la madre, stupro o incesto. Come spiega C-Fam, l’amministrazione Trump ha chiuso alcune scappatoie presenti sotto Bush, ma non tutte, e anche in questo caso incontra resistenze da parte del deep State («Stato profondo», letteralmente), che qui in sostanza rappresenta quei funzionari decisi a perpetuare l’ideologia mondialista.
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