(dal blog di Costanza Miriano). Il documento finale del Sinodo sui giovani è stato reso pubblico e consegnato a tutti noi, fedeli. E credo che sia importante leggerlo davvero, per questo sono le 3 e 17, e ho appena finito: l’ho letto tutto, dall’inizio alla fine, e ci ho trovato tante cose buone, davvero. Soprattutto il desiderio sincero di ascoltare i giovani, e di trovare un linguaggio per farsi capire da loro. Un sincero desiderio di raccapezzarsi in questo universo sconosciuto e impenetrabile a noi vecchi (per i giovani si è vecchi dai trenta anni in su).
In realtà su questo sono abbastanza poco fiduciosa: noi anziani – e i padri sinodali ancora di più, essendo in media più vecchi di me – non abbiamo nessuna speranza di parlare la loro lingua, e se ci riuscissimo sarebbe preoccupante, perché i giovani cercano con tutte le loro forze di marcare una distanza da noi – è il compito specifico del momento in cui ci si distacca e si diventa adulti – e quando proviamo a inseguirli diventiamo ridicoli. Quando facciamo gli amici, non serviamo a niente. Comunque, dicevo, si percepisce il desiderio sincero da parte della Chiesa di mettersi in discussione e di capire come arrivare ai giovani che, il dato di fatto è sotto gli occhi di tutti, sono sempre più assenti dalla vita quotidiana della Chiesa, GMG e grandi eventi a parte: basta andare alle messe feriali, tutte disertate dai ragazzi, a parte isole speciali in cui si vede che c’è un lavoro di semina paziente, e qualche testimone credibile.
Ma a parte i tanti elementi positivi, in queste pagine ho percepito qualcosa di mancante, un grande assente: leggevo e leggevo e cresceva il disagio. Aspettavo di vederlo comparire e non lo trovavo mai. Da questo documento il grande assente è il peccato originale, che infatti non è mai nominato. C’è una sola volta il peccato personale, molte volte le fragilità, due fugaci volte sono nominati i peccati in generale, ma mai il peccato originale.
Per me questa è la grande, spaventosa falla del documento. Ma più che una falla è una voragine, stando a quello che sapevo io della nostra fede. Su questo, aspetto correzioni, magari sono io a sbagliarmi, e allora devo rivedere un po’ di cose. A me sembra che da questa assenza discenda tutto. E non è solo una dimenticanza di qualcosa che non si nomina, ma che si dà per scontato. Mi sembra proprio un modo radicalmente diverso di concepire la fede.
Se, tolta quella originale stortura, quel bug di sistema che non ci fa funzionare bene da soli, allora sì, se il cuore dell’uomo è autonomamente capace di bene, se tutto quello che l’uomo prova, o sente, o attraversa, è comunque potenzialmente buono, certo l’ascolto diventa il dogma. Se invece c’è il peccato originale, allora ascoltare non è il dogma. Anzi, se c’è quel seme di male nel cuore dell’uomo, ne consegue proprio il contrario, cioè che è necessario non ascoltare la propria voce interiore, ma quella di Dio, che non sempre coincidono, anzi. Shemà è il primo comandamento. Ascoltare la persona serve come pratica pastorale, una parola di gran moda, ma deve essere solo l’inizio, e ben presto occorre passare a un’altra fase. È dal cuore, dice Gesù, che vengono tutte le cose cattive, che ci contaminano da dentro. Il peccato originale è, come dice il Catechismo, il rovescio della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini. Altrimenti perché sarebbe stato messo in croce? Perché c’erano degli intolleranti, dei farisei, dei non sinodali come noi che non amiamo il dialogo? O per un mistero di male per il quale Dio si è fatto uomo per salvarci, prendendo su di sé i peccati del mondo? Il mondo è dunque tutto da accettare, o il regno del nemico da lavorare come un campo, con pazienza, armati di grazia per il combattimento? La croce, la passione e la morte di Gesù sono stati un incidente di percorso, il brutto epilogo di una storia che doveva andare diversamente, o qualcosa a cui è aggrappata la nostra redenzione?
Se cancelli il peccato originale cancelli il mistero del cuore dell’uomo che vede il bene ma fa il male (lettera ai Romani). Allora non basta far vedere il bene, occorre armarci nel combattimento. Non basta (par. 165) il “contatto vivente con l’esistenza felice di Gesù”, perché Gesù è morto torturato e crocifisso, per il mistero del male nel mondo, cioè nel cuore di ogni uomo, cioè per il mio male e per il mio peccato. E la sua esistenza a me a occhio e croce non sembra tanto “felice”, non come la intende il mondo, almeno: è stata tutta una negazione di sé, fino alla negazione massima della croce.
Ora, mi sembra che qui siamo davanti a due visioni profondamente distanti della fede, proprio su questo punto del peccato originale. È ovvio che io non capisco niente di teologia, il mio è solo il sensus fidei di una cristiana ordinaria, e sarò felicissima di essere smentita. Altrimenti mi chiedo: c’è uno scisma sostanziale e silenzioso in atto nella nostra amata Chiesa, sul peccato originale? Come è possibile che io non riconosca le parole dei miei pastori?
L’unica spiegazione che ogni tanto provo a darmi è che tanti pastori appartengono a una generazione o a una provenienza geografica diverse dalla mia, dove forse è ancora forte il ricordo di una Chiesa rigida e piena di norme, per cui hanno un grave complesso di inferiorità che li costringe a cercare in tutti i modi di accreditare un’immagine della Chiesa che sia lontana da qualsiasi tipo di rigidità. Capisco in parte le cause di questo atteggiamento: forse da qualche parte, sicuramente molti decenni fa, la Chiesa – quando ancora la sua morale coincideva con quella della società borghese – è stata percepita come una presenza arcigna, capace solo di divieti e norme, tutta forma e regole, dove la norma non veniva dall’amore. Capisco come possa essere stato necessario, in passato, ricordare come la morale cristiana viene sempre da un incontro, da un avvenimento, da un innamoramento di chi si sente guardato e riconosciuto e amato da Gesù. Ma questo innanzitutto è un passato molto lontano: oggi i giovani non solo trasgrediscono tranquillissimamente le regole, ma non sanno neppure quali siano; che la Chiesa adesso spalanchi le porte per far uscire è surreale: dentro non c’è più nessuno. Inoltre è sempre il solito trucco del demonio, cercare di convincere gli uomini che i comandamenti siano una fregatura, e non un regalo. Che ci cada il mondo, è ovvio. Che ci credano, o facciano finta di crederlo per sembrare più “friendly”, certi pastori, è preoccupante.
A causa di questa fretta di non dire niente che possa urtare nessuna sensibilità, neppure le più lontane che per la gran parte – non tutto, per carità, ma una bella fetta – questo documento finale avrebbe potuto essere scritto dall’ordine psicologi, oppure da bravi educatori, non necessariamente credenti. La vita eterna, non pervenuta. In alcune parti, poi, come quelle sull’ecologia e sui migranti, alcune posizioni almeno opinabili, vengono poste come date e imprescindibili, come se il dogma fosse quello (a differenza del peccato originale), senza che si senta la necessità di dare risposte un po’ più articolate, di fronte a una realtà più complessa di come viene raccontata dai media (occidente bianco ricco cattivo versus paesi in via di sviluppo poveri buoni: tutti siamo per l’accoglienza, il problema è che è troppo comodo dirlo senza spiegare concretamente come renderla possibile e dignitosa per chi è accolto e per chi accoglie). Quanto alle pagine sull’ecumenismo, certi passaggi fanno dubitare che si creda davvero che l’unica fede vera è la nostra – non perché siamo migliori di nessuno, ma perché la Chiesa è la Sposa di Cristo – , e che in gioco c’è la salvezza dell’anima.
“Le ragioni di una distanza” dei giovani dalla fede – par. 53: a mio vedere quelle elencate sono completamente fuori fuoco. Non è la limitatezza degli uomini di Chiesa a tenerli lontani, ma il fatto che non parlino più di vita eterna, peccato, morte, inferno, e che quindi non venga più percepita come necessaria, come unica via di accesso al sacro. Ci sono tanti altri soggetti sociali che dispensano consigli di buon senso o regole di convivenza civile. Sappiamo bene che non si tiene vicina la gente con la paura dell’inferno, ma rimuovere il tema della morte e del destino eterno non serve: il timore di Dio è solo il principio, certo, poi bisogna passare a una relazione personale, che nasce quando si ha la grazia di credere all’amore di Dio per ognuno. Ma questo amore si percepisce proprio quando ci si sente perdonati e amati nonostante tutto, non quando ci si sente non bisognosi di redenzione, già guariti, già risolti, sostanzialmente indifferenti.
Il par. 39 riferisce le domande dei giovani: “Frequentemente la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa”. A parte che io li vorrei vedere questi giovani che si pongono il problema dei rapporti prematrimoniali. Ma se anche fosse, se scopriamo adesso che la morale cattolica che fino a qualche decennio fa è stata condivisa dalla società borghese è quanto di più lontano dal mondo, che facciamo? Invece che rallegrarci del fatto che finalmente certe scelte potranno essere fatte, da chi avrà la grazia di farle, non per convenzione ma perché ha fatto l’incontro decisivo della vita, diciamo invece che si può anche fare come dice il mondo tanto non cambia niente?
Potrei continuare per molte pagine: al par. 166 vengono elencate mediocrità, presunzione e corruzione del clero come cause dell’allontanamento. Io semplicemente penso che ai giovani non importi molto di preti che non parlano di morte e risurrezione, che non sono l’accesso alla vita eterna, e alla felicità qui su questa terra. Se pensano di risultare simpatici perché accennano due parole di rap diventano patetici: se voglio un rapper cerco quello figo, l’originale, non una bruttissima e tristissima copia.
Infine, le proposte finali: corsi di formazione o verifiche comunitarie del cammino. Non so, io direi piuttosto dosi massicce di preghiera, adorazione, silenzio, ascolto della parola. Cari padri, ritrovate coraggio, orgoglio, consapevolezza: voi pastori avete il privilegio più grande che un uomo possa avere sulla terra, materializzare il corpo di Cristo sull’altare, e per questo noi guardiamo a voi, con speranza e con un rispetto senza riserve, non per come siete, ma per quello a cui solo voi ci date accesso (fonte).
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