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Serpelloni sulle droghe in rete: «Va accresciuta la prevenzione»
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17 Settembre 2018

Serpelloni sulle droghe in rete: «Va accresciuta la prevenzione»

Domani pomeriggio, martedì 18 settembre, il neuroscienziato Giovanni Serpelloni, già capo del dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio, interverrà al convegno «Libertà dalla droga. I miti e la realtà» organizzato a Milano dal Centro studi Rosario Livatino (a questo link è possibile leggere il programma completo, che prevede come altri relatori i magistrati Nicola Gratteri, Alfredo Mantovano e Mauro Gallina, nonché l’allergologo e immunologo Luca Navarini). Il Timone lo ha intervistato.

Dottor Serpelloni, al prossimo convegno del Centro studi Livatino terrà una relazione sulle droghe in rete e la prevenzione. Può anticiparci qualcosa?

«Sì, non tutti sono a conoscenza di quanto oggi sia facile purtroppo un acquisto di droga su Internet, il che richiede una prevenzione maggiore. Un ragazzino che ha in mano un cellulare può recarsi in certi siti che espongono un elenco dettagliato delle sostanze con prezzi, sconti, proposte di franchising e tutta una serie di immagini evocative per qualsiasi tipo di sostanza esistente sul mercato illecito. E qui parliamo di accesso nel web aperto a tutti. Poi esiste un web più nascosto (Darknet) e ancora più pericoloso, dove si accede con particolari programmi di anonimizzazione che sanno usare anche i ragazzi. Anni fa abbiamo fatto una serie di intercettazioni per vedere a chi andavano queste sostanze e la scoperta è stata che tantissimi degli ordini provenivano da minorenni. La prevenzione è necessaria sia in ambito sanitario per evitare danni ai ragazzi sia in campo di contrasto pubblico perché le dimensioni di questo nuovo traffico sono estremamente rilevanti, anche secondo l’Interpol e l’Europol».

Ci sono droghe che oggi richiedono una particolare attenzione per via del business in crescita?

«Ci sono sostanze particolarmente commercializzate, come marijuana e hascisc ad alte concentrazioni, poi ci sono le droghe sintetiche, dove il gruppo più rappresentato è quello dei cannabinoidi sintetici, di cui esistono oltre 500 tipi, e poi c’è il mefedrone che ha fatto un sacco di vittime, soprattutto in Inghilterra e nei Paesi del Nord in genere. Queste sostanze vengono vendute come profumatori ambientali, come bustine colorate molto attrattive per i giovani, eccetera. Sulla bustina scrivono che non sono per uso umano e dichiarano contenuti che spesso non sono quelli che riscontriamo effettivamente nelle analisi, perché se lo spacciatore ha finito una certa sostanza non è che si faccia scrupoli a metterne un’altra magari più pesante, purché venda».

Ci sono forze politiche come i Radicali, e non solo, che chiedono insistentemente la legalizzazione di quelle che chiamano “droghe leggere”: lei come risponde a richieste del genere?

«Guardi, io mi occupo di neuroscienze e di tossicologia, e le dirò una cosa molto semplice: l’espressione “droghe leggere” la possiamo cancellare dal vocabolario perché è una menzogna. I dati di laboratorio ci dicono che di leggero non c’è niente. Abbiamo dati certi, specie a livello neurologico, che dimostrano le ricadute sul cervello e la creazione di disturbi permanenti dei processi cognitivi, della memoria, della capacità di controllo delle reazioni, dell’aggressività. In più possono esserci disturbi importanti a organi come il cuore, il fegato, i polmoni e soprattutto c’è un problema nella maturazione cerebrale, che viene ritardata, e quindi nei processi di apprendimento. I dati mostrano con certezza che si perdono punti di quoziente intellettivo: le persone che hanno usato cannabis prima dei 18 anni hanno almeno otto punti in meno di QI. Se legalizziamo una sostanza di questo tipo, dal punto di vista sanitario combiniamo un disastro enorme perché è la droga più usata dai giovani, cioè i soggetti più vulnerabili: il cervello completa infatti la sua maturazione tra i 25 e i 30 anni, senza dimenticare che l’assunzione di queste sostanze è un pericolo per la guida di moto e autoveicoli».

Lei lavora anche negli Usa, dove diversi Stati hanno legalizzato la cannabis. Che ci può dire in base alla sua esperienza lì?

«Sì, lavoro anche per l’Università della Florida e lì abbiamo un osservatorio sulla legalizzazione avvenuta in diverse parti negli Stati Uniti: il numero di intossicazioni nei bambini piccoli sotto i 4 anni è aumentato di otto volte; abbiamo un numero aumentato di incidenti per correlazione con le droghe, un aumento delle crisi psicotiche, soprattutto di tipo schizofrenico nei giovani e questo l’ha detto anche la Società di psichiatria in Italia. Se una sostanza è così dannosa per la mente e per il fisico, qual è la base razionale per legalizzarla? Perché secondo qualcuno si interromperebbe un mercato illegale? Non credo proprio. I dati provenienti dall’America ci dicono che i mercati illegali hanno reagito alla legalizzazione così: 1) aumentando il traffico dell’eroina e della cocaina; 2) diminuendo il prezzo dei propri prodotti; 3) aumentando il tasso di principio attivo nella cannabis, per cui costa meno di quella statale ed è più “efficace”. La legalizzazione sarebbe fallimentare».

Che cosa suggerisce per attenuare gli effetti della propaganda dei favorevoli alla legalizzazione?

«Intanto, dobbiamo dire ai giovani: guarda che quando tu vai a prendere la dose di cannabis, quei soldi li stai dando alle mafie e al terrorismo. Poi, la cannabis che chiamano “terapeutica” non è affatto curativa: ha solo un effetto di tipo sintomatico, vuol dire che può attenuare alcuni sintomi ma non cura la malattia, perciò questo non può essere un cavallo di Troia per far passare l’idea che la cannabis faccia bene, perché è una mistificazione che finisce per creare una minore percezione del rischio tra i giovani. Vedo che tra le spinte dietro la legalizzazione ci sono quelle di George Soros, Rockefeller, la Philip Morris – e io l’ho già detto 10 anni fa e ho anche pagato per averlo detto: perché uno come Soros dice di aver speso almeno 80 milioni di dollari per legalizzare la cannabis? Per specularci. Ricordo solo che il fatturato della cannabis legale negli Usa nel 2017 è stato quattro volte quello del McDonald’s».

Lei è padre di quattro figli, che consiglio darebbe ai genitori?

«La prevenzione deve cominciare prestissimo, il che non vuol dire parlare ai figli di droghe ma andare a capire se hanno comportamenti particolari: facciamo le diagnosi tra i 4 e gli 8 anni, per vedere se possono avere qualche inclinazione (genetica ed epigenetica) verso particolari sostanze, perché esistono delle persone cosiddette vulnerabili, circa il 10-15% della popolazione, che se vengono stimolate con certe sostanze – e qui ha il suo peso la propaganda, anche attraverso il cinema o determinate canzoni – finiscono per divenirne dipendenti. Questo noi lo possiamo scoprire molto precocemente. Bisogna lavorare con modelli educativi per far capire quali sono le regole, quali i rischi nel fare determinate cose e quali i comportamenti giusti».

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