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Intercomunione, Voderholzer rammenta: “L’Eucaristia è il fine, non il mezzo”
NEWS 20 Luglio 2018    di Ermes Dovico

Intercomunione, Voderholzer rammenta: “L’Eucaristia è il fine, non il mezzo”

«Dovremmo allontanarci dalla fissazione sulla Comunione eucaristica come un “passo verso l’unità”. L’Eucaristia è il fine, non il mezzo», ha detto il vescovo di Ratisbona, Rudolf Voderholzer, in un’intervista via email al National Catholic Register, commentando gli ultimi fatti riguardanti la vicenda dell’intercomunione in Germania, che lungi dal favorire spiritualmente le anime mette in serio pericolo l’unità della Chiesa e la fede in quello che la teologia cattolica chiama «il Sacramento dei sacramenti».

Voderholzer è uno dei sette vescovi tedeschi ad aver scritto alla Curia romana dopo che lo scorso 22 febbraio la Conferenza episcopale tedesca (Cet) aveva dato il via libera alla possibilità di ricevere l’Eucaristia per i protestanti uniti in matrimonio con un cattolico, secondo il sempre più abusato paradigma del «caso singolo», malgrado i matrimoni interconfessionali non rientrino evidentemente tra le circostanze contemplate per i riformati dall’articolo 844 del Codice di diritto canonico, ossia il «pericolo di morte» o «altra grave necessità». Circostanze d’emergenza che tra l’altro richiedono, com’è normale che sia per il significato stesso della Comunione eucaristica, la manifestazione della «fede cattolica» da parte di chi la riceve, perché se così non fosse, come ha spiegato tempo fa il cardinale Robert Sarah, «sarebbe promuovere la profanazione».

Inquadriamo brevemente i fatti delle ultime settimane. Il 27 giugno, com’è noto, la Cet ha pubblicato sul proprio sito Internet, senza apporre alcuna firma, le controverse linee guida sull’intercomunione. Il sussidio era stato inizialmente stoppato da una lettera del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Luis Francisco Ladaria Ferrer, recante la data del 25 maggio e con la sigla autografa di papa Francesco, ma poi il pressing del cardinale Reinhard Marx in Vaticano e alcune dichiarazioni a braccio del pontefice durante il recente volo di ritorno da Ginevra hanno condotto alla sua pubblicazione da parte della Cet, che lo ha presentato informalmente come un aiuto all’«orientamento» del singolo vescovo. Il pretesto è quello di «mostrare una via di accompagnamento pastorale» ai fedeli che vivono un matrimonio misto, nonostante i sette vescovi tedeschi – insieme a diverse altre autorevoli voci cattoliche, come per esempio l’arcivescovo di Ottawa Terrence Prendergast e l’arcivescovo di Utrecht Willem Eijk – abbiano spiegato che l’intercomunione non riguarda la sola pastorale bensì l’intera dottrina della Chiesa: la questione va quindi ben oltre i confini della Germania e interessa direttamente tutto il mondo cattolico, con il chiaro rischio di una Babele della fede.

Il sussidio «orientativo» pubblicato il 27 giugno è come una crepa nella diga. Da allora già diversi alti prelati hanno mostrato come funzioni la logica del «caso singolo». Per esempio Franz Jung, vescovo di Würzburg, che il 5 luglio è divenuto il quinto vescovo tedesco, secondo quanto riferisce la Catholic News Agency, ad annunciare la sua applicazione della guida, con un aperto «invito a ricevere l’Eucaristia» a tutti i protestanti sposati con cattolici da almeno 25 anni; oppure Hans Josef Becker, arcivescovo di Paderborn, che raccomanda ai sacerdoti nella sua arcidiocesi di «familiarizzare intensamente con il documento di guida». In ragione di questi strappi in avanti, Voderholzer spiega al Register che «il cardinale Ladaria ha fatto capire nella sua lettera che le questioni riguardanti il Canone 844 saranno chiarite in modo autoritativo e vincolante dai competenti dicasteri vaticani per conto di papa Francesco. Questo, ovviamente, riguardo al concetto di seria emergenza spirituale, ciò che significa e ciò che non significa».

In merito ai suoi prossimi passi, il vescovo di Ratisbona ha detto: «Chiederò ufficialmente alla Congregazione per la dottrina della fede, di cui sono membro, di chiarire alcune questioni come: che cosa appartiene a tutta la fede cattolica riguardante l’Eucaristia, e che cosa deve essere sempre assunto? Ai sacerdoti della diocesi di Ratisbona saranno inviati i corrispondenti passaggi del Codice di diritto canonico, le norme del direttorio ecumenico, e un’intervista che ho rilasciato il 30 giugno al Tagespost. In aggiunta a questo, è necessario dire innanzitutto che non cambia nulla. Ulteriori passi dipenderanno dalle linee guida di Roma». Il tutto avendo ben chiaro appunto che «l’Eucaristia è il fine, non il mezzo» per arrivare alla comunione ecclesiale con le chiese nate dalla Riforma protestante, che sono separate dalla Chiesa cattolica e ne rigettano la dottrina sacramentale – dalla penitenza al sacerdozio, fino alla transustanziazione – il primato del Papa, il culto della Madre celeste e dei santi, eccetera.

Perciò le considerazioni di Voderholzer rispecchiano quanto scriveva san Giovanni Paolo II: «La celebrazione dell’Eucaristia, però, non può essere il punto di avvio della comunione, che presuppone come esistente, per consolidarla e portarla a perfezione. Il Sacramento esprime tale vincolo di comunione sia nella dimensione invisibile che, in Cristo, per l’azione dello Spirito Santo, ci lega al Padre e tra noi, sia nella dimensione visibile implicante la comunione nella dottrina degli Apostoli, nei Sacramenti e nell’ordine gerarchico. L’intimo rapporto esistente tra gli elementi invisibili e visibili della comunione ecclesiale è costitutivo della Chiesa come sacramento di salvezza. Solo in questo contesto si ha la legittima celebrazione dell’Eucaristia e la vera partecipazione ad essa […]» (Ecclesia de Eucharistia, 35).


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