La libertà della Chiesa, perciò di tutti i fedeli, continua a essere minacciata, a partire da ciò che è il cuore stesso della fede: i sacramenti. L’ultimo esempio viene dall’Oceania, dove l’8 giugno il Territorio della Capitale Australiana (Act, nell’acronimo inglese), ossia il distretto federale comprendente Canberra, ha approvato una legge che impone ai sacerdoti di rompere il sigillo sacramentale nel caso in cui qualche penitente confessi di aver commesso violenze su dei bambini. Secondo la nuova legge, votata da tutti i partiti presenti nell’Act, i sacerdoti saranno obbligati a riferire entro 30 giorni all’ombudsman dell’assemblea (figura equivalente al difensore civico) gli eventuali abusi ascoltati nel segreto del confessionale.
Si tratta evidentemente di un obbligo incompatibile con la fede cristiana. Il sacerdote che viola il sigillo sacramentale incorre infatti nella pena più grave, la scomunica, perché nel sacramento è Cristo stesso a operare; e il confessore, che agisce come semplice strumento della Sua misericordia, non può in nessun caso tradire l’intimità del penitente con Dio, come ricorda il Codice di Diritto Canonico: “Il sigillo sacramentale è inviolabile; pertanto non è assolutamente lecito al confessore tradire anche solo in parte il penitente con parole o in qualunque altro modo e per qualsiasi causa” (983).
La legge, come riporta The Australian, prevede che gli abusi venuti a conoscenza degli impiegati di servizi e istituti religiosi debbano essere denunciati a partire da luglio, mentre per i sacerdoti l’obbligo dovrebbe scattare ad aprile 2019: in caso di inadempienza potranno essere soggetti a procedimento penale. Va detto che l’Act non ha piena indipendenza legislativa e le sue norme possono essere abrogate dalla maggioranza dei due rami del Parlamento australiano, ma il primo ministro Malcolm Turnbull ha già lasciato intendere il suo pensiero, dichiarando che “la sicurezza dei bambini dovrebbe essere sempre messa al primo posto”. Una frase che a prima vista appare condivisibile, ma rivela il suo lato diabolico se sottintende che possa essere violata la Confessione, che è il sacramento specifico per chiedere perdono a Dio dei nostri peccati e riconciliarci con Lui.
Lo ha spiegato bene l’arcivescovo di Canberra, Christopher Prowse, in una lettera pubblicata sul Canberra Times: “I sacerdoti sono legati da un voto sacro a mantenere il sigillo della Confessione. Senza quel voto, chi sarebbe disposto a liberarsi dai suoi peccati, cercare il saggio consiglio di un sacerdote e ricevere il perdono misericordioso di Dio?”. L’arcivescovo condivide chiaramente la preoccupazione di salvaguardare i bambini, ma ha smontato l’idea che un miglioramento in tal senso possa venire violando il segreto confessionale: “Quale persona che commette un abuso sessuale si confesserebbe con un prete se sapesse di poter essere denunciato? È comune esperienza dei pastori che coloro che abusano dei bambini non confessano il crimine, né ai sacerdoti né alla polizia. Se viene rimosso il sigillo, la remota possibilità che loro confessino, e perciò possano essere consigliati a denunciarsi, svanirebbe”.
Nel sottolineare quanto la norma manchi di buonsenso, oltre a calpestare il sacro, Prowse ha ricordato pure che spesso un sacerdote non conosce nemmeno l’identità del penitente, né lo vede se è in confessionale, e ha fatto presente che il governo dell’Act, guidato da Andrew Barr (un gay dichiarato, unito civilmente con il suo compagno), aveva promesso di ascoltare le istanze della Chiesa attraverso un incontro con il procuratore generale, ma quell’incontro non c’è mai stato: “Il governo minaccia la libertà religiosa – ha detto l’arcivescovo – autonominandosi esperto di pratiche religiose e cercando di cambiare il sacramento della Confessione”. Spiegando anche: “La libertà religiosa è la libertà di abbracciare una fede e, in secondo luogo, la libertà di manifestare il proprio credo nella comunità e in pubblico, privatamente e individualmente nell’adorazione, nel rito, nella pratica e nell’insegnamento”.
Prowse ha detto esplicitamente che il motivo per cui è stata pensata una legge del genere “non è la protezione dei bambini”, bensì gli scandali in cui sono stati coinvolti degli ecclesiastici. Sebbene questi scandali rappresentino una ferita aperta e anche uno solo sarebbe gravissimo (bastino le parole di Gesù in Mt 18, 6-7), vanno riportati alle loro dimensioni reali, ricordando poi che proprio la Chiesa è l’istituzione che si è dotata delle norme più dure per combattere gli abusi, elemento mai ricordato dai media che le sono avversi e sistematicamente disinteressati alla ricerca della verità. Perciò bisogna quantomeno accennare al fatto che la sicurezza dei più piccoli è minata innanzitutto dalle ideologie che vanno contro la morale cristiana, ampiamente propagandate, e che hanno portato le nostre società a essere inondate di pornografia, di continue campagne sulla “libertà” sessuale, senza limiti e slegata dal fine procreativo, fino alle aberrazioni della teoria gender, ai bambini comprati con l’utero in affitto e alle pressioni dei gruppi pedofili che arrivano a presentare loro candidati alle elezioni, come successo in questi giorni in America con il “libertario” Nathan Larson.
Per questo è pura ipocrisia la pretesa che i bambini, così cari a Dio, si possano proteggere combattendo Dio e i Suoi sacramenti. La Confessione è già stata sotto attacco nei regimi totalitari, regimi atei e senza uno sguardo sull’eternità e sulla salvezza delle anime, e dei sacerdoti hanno preferito le persecuzioni piuttosto che tradire il segreto dei penitenti. In Australia il padre gesuita Frank Brennan ha già detto che resisterà a qualsiasi legge cerchi di violare il sigillo sacramentale. Siamo con lui.
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