L’imperatore Costantino aveva scelto nel 313 l’alleanza col Dio dei Cristiani in forza dell’antica concezione tradizionale romana della pax deorum, di quell’alleanza con il divino che sola poteva garantire pace e prosperità allo Stato, purché venisse rispettato da tutti un mos (un comportamento pratico) rigorosamente in linea con il fas (la parola divina).
Era per questo che in Roma religione e politica apparivano indivisibili, tanto che alle massime autorità dello Stato erano affidate funzioni simili anche nella sfera religiosa.
Costantino aveva ben inteso che la fede cristiana non ammetteva che la gestione del rapporto con Dio ricadesse fra le competenze affidate allo Stato. Ma a chi, come l’imperatore, pur se convertito, ragionava ancora sulla base della mentalità religiosa tradizionale romana, e considerava la corretta gestione del rapporto col divino come una garanzia di fondo per la sicurezza e la prosperità dello Stato, si poneva il problema di assicurarsi che la Chiesa, pur se in piena autonomia, adempisse a quel compito fondamentale.
I primi contrasti interni alla Chiesa
In questo senso, Costantino aveva ben capito che il Dio dei Cristiani voleva che fosse mantenuta sempre unità e concordia: per contro, fin dal 312 gli era stato riferito di dissensi tanto forti circa i contenuti e i fondamenti stessi della nuova fede da provocare riflessi anche sugli assetti organizzativi e disciplinari della Chiesa.
Ecco perché, mentre si adoperava per rinsaldare il prestigio e l’autorità del collegio episcopale come supremo organo di governo della Chiesa, di fronte alle crescenti divisioni che vedeva svilupparsi, Costantino si preoccupava di promuovere sinodi e concili dai quali uscisse una definizione di fede chiara, unica e condivisa nei fondamenti e nei contenuti, in modo da essere certo che Dio fosse soddisfatto del culto resogli e che continuasse dunque a proteggere l’impero.
L’eresia di Ario
Particolarmente preoccupato per le dispute attorno alla dottrina di Ario (un presbitero della diocesi di Alessandria d’Egitto), secondo cui il Figlio non poteva avere la stessa natura divina del Padre, perché ne era creatura, Costantino vide il proprio attivismo premiato quando, nel 325, i vescovi, riuniti nel concilio di Nicea, approvarono il testo di un “simbolo”, cioè di una definizione dogmatica della fede cristiana, in cui si definiva tra l’altro Cristo homooùsios (“della stessa sostanza”) rispetto al Padre.
All’elaborazione del testo del “simbolo” niceno, che chiudeva le discussioni sulla dottrina di Ario, rigettandola, aveva dato un significativo contributo un giovane diacono, Atanasio (295 ca-373), segretario del vescovo di Alessandria d’Egitto, Alessandro.
Atanasio e Nicea
Se questo contributo dato all’elaborazione del Credo segnò indelebilmente la storia della Chiesa, parimenti ne fu segnata l’intera esistenza di Atanasio, che fece della diffusione e della difesa della definizione della vera e unica fede la missione e il senso della propria vita.
I filo-ariani, infatti, con qualche successo, cercarono di far passare l’idea che il Credo di Nicea fosse ispirato al sabellianismo, un’eresia che presentava le tre Persone della Santissima Trinità come semplici modi di apparire di una stessa ed unica persona.
L’atteggiamento di Costantino cominciò allora a mutare drasticamente. Uomo politico e soprattutto uomo di guerra – tanto poco familiare con le dispute teologiche da affidarsi, alla fine della sua vita,
alla direzione spirituale di Eusebio di Nicomedia, uno dei vescovi sostenitori di Ario – nel discorso di apertura del concilio di Nicea Costantino non aveva preso parte per l’una o l’altra dottrina. Ciò che gli premeva salvaguardare era la concordia e l’unità istituzionale della Chiesa e niente – tanto meno la difesa di una formula che non comprendeva – poteva giustificare disordini e dissidi.
Atanasio (frattanto ordinato sacerdote e poi acclamato successore di Alessandro come vescovo e patriarca di Alessandria) fu denunciato all’imperatore per presunti atti di violenza contro gli adepti dello scisma meleziano, scisma verificatosi nel IV secolo a causa di ordinazioni illegittime e che faceva capo al vescovo Melezio di Licopoli, nel Basso Egitto. Eluso il giudizio di un primo sinodo convocato da Costantino a Cesarea di Palestina, Atanasio non riuscì ad evitare la condanna di un sinodo riunito a Tiro nel 335: accusato di minacciare l’ordine e la sicurezza con la sua eccessiva intransigenza dottrinale, fu relegato a Treviri fino alla morte di Costantino, nel 337.
Dei tre figli dell’imperatore, il minore e filoariano Costanzo II ne aveva ereditato il governo dell’Oriente: ma a Treviri, dove si trovava Atanasio, si era insediato il primogenito, Costantino II, sostenitore della sede romana e del simbolo niceno. Forte del prestigio e dell’autorità di primo (senior) tra gli Augusti, Costantino II impose al fratello Costanzo di far buon viso a cattivo gioco, reintegrando Atanasio nella sede e nella dignità episcopale. Ma quando Costantino II fu ucciso poco dopo (340) dal fratello Costante I, Atanasio si ritrovò in balìa degli ariani e non poté far altro che rifugiarsi a Roma. Costante I, però, che controllava tutto l’Occidente, convocò presto (343) un concilio a Serdica (oggi Sofia) che riaffermò la validità del simbolo niceno e reintegrò Atanasio: come prima di lui Costantino II, anche Costante I dovette esercitare pressioni sul fratello, ma alla fine, nel 346, Atanasio poté tornare ad Alessandria.
Della morte di Costante I, ucciso da Magnenzio (350), Atanasio non soffrì subito gli effetti: Costanzo II tornò ad occuparsi di questioni ecclesiali solo dopo aver sconfitto l’usurpatore nel 353. Fu allora che un sinodo di vescovi egiziani e poi anche il nuovo Papa, Liberio, si opposero alla sua richiesta di condannare e deporre Atanasio.
L’imperatore convocò quindi un concilio a Milano nel 355 e risolse la questione esiliando i vescovi dissenzienti (nonché il Papa, relegato a Beroa, in Tracia): gli altri ratificarono la deposizione di Atanasio, che però solo manu militari poté essere costretto alla fuga nel deserto (356), dove visse nascosto e protetto (nonostante le taglie poste sulla sua testa) da eremiti, clero e fedeli rimastigli compattamente fedeli fino alla morte di Costanzo (361).
La deposizione di Atanasio
La sua deposizione fu vissuta come un’esperienza traumatizzante dalla Chiesa intera («L’universo gemette nello sbalordimento di essere diventato ariano», annota san Girolamo) e da quella occidentale in particolare (perché – scrive Manlio Simonetti, uno dei massimi studiosi del Cristianesimo antico – «in effetti Atanasio sensibilizzò a tal punto l’Occidente poco familiarizzato con i reali termini della controversia in Oriente, che il suo destino di identificò per i latini col destino stesso della fede nicena»). Nessuna influenza ebbe invece sulla cristianità di quei tempi la voce (che invece sarebbe stata strumentalizzata in senso attualizzante lungo i secoli fino ai giorni nostri) di una presunta ritrattazione del Credo di Nicea che, contro Atanasio, con la violenza o con l’inganno, sarebbe stata estorta a Papa Liberio, nell’esilio di Beroa, prima che Costanzo II permettesse il suo rientro a Roma nel 358.
Se ritrattazione ci sia stata e in quali termini è questione controversa. I testi delle fonti antiche si prestano a interpretazioni diverse e sono anche in parziale contraddizione fra loro. Esse sono però unanimi sul forte malcontento dei Romani contro l’antipapa Felice II (rimasto peraltro isolato e senza la comunione degli altri vescovi), al punto che Costanzo II dovette consentire al rientro di Papa Liberio, accolto come un trionfatore sugli ariani, mentre Felice veniva cacciato.
Il riconoscimento dell’ortodossia
Nemmeno la deposizione e l’esilio di Atanasio, del resto, al di là dell’impressione suscitata, avevano avuto l’effetto sperato: Atanasio continuò infatti a dirigere la sua Chiesa dai suoi rifugi nel deserto e, anzi, ivi trovò il tempo e l’ambiente ideale per scrivere la gran parte di quelle opere che giustificarono la sua successiva ammissione nel novero dei Dottori della Chiesa e che contribuirono
in maniera determinante alla definitiva condanna dell’arianesimo da parte del primo concilio di Costantinopoli (381).
Atanasio non poté assistere al completo trionfo del Credo di Nicea, anche se, dopo alterne vicende sotto Giuliano (il successore neopagano di Costanzo), nel 366 poté riprendere finalmente e definitivamente possesso della sede episcopale e patriarcale di Alessandria d’Egitto, dove morì il 2 maggio 373. â–
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