Il matrimonio è un istituto connaturato all'essere umano, su cui il cristianesimo ha innestato un incremento di comprensione, di ricchezza e di grazia. Ecco le sue caratteristiche
Il matrimonio non è un'invenzione cristiana, bensì un istituto naturale precristiano, su cui il cristianesimo ha innestato un incremento di comprensione, di ricchezza e di grazia.
Che ne pensavano i filosofi non cristiani
In Grecia, Aristotele (384-322 a.C.) scrive: «L'amicizia tra marito e moglie [ … ] è naturale: l'uomo, infatti, è per sua natura più incline a vivere in coppia che ad associarsi politicamente, in quanto la famiglia è qualcosa di anteriore e di più necessario dello Stato». Insomma, per Aristotele il matrimonio è la società basilare, è la cellula fondamentale della società.
Egli inoltre indica i due fini del matrimonio:
1) marito e moglie «si aiutano l'un l'altro, ponendo in comune le specifiche qualità personali», e con ciò menziona il fine della comunione e del mutuo aiuto tra i coniugi;
2) “i figli [ … ] sono un bene comune a entrambi" e con ciò menziona il fine della procreazione (Etica Nicomachea, 1162a 16 e ss.). Il cristianesimo riconfermerà ed approfondirà proprio questi due fini del matrimonio.
A Roma, per Cicerone (106-43 a.C.), «La prima forma di società consiste nel matrimonio stesso, la seconda nei figli [ … ]: ora precisamente questo è il principio della città e, per così dire, il seminario della Res Publica», cioè il luogo fondativo e generativo della società e dello Stato (/ doveri, 1,17,54).
Sempre a Roma, anche lo stoico Musonio Rufo (30 d.C. – fine primo secolo; su questo autore cfr. gli studi di Ilaria Ramelli) nelle sue Diatribe (cfr. la XVII) spiega che la famiglia è naturale: «È evidente che secondo natura, se mai altro, è proprio il matrimonio».
Anche per Musonio i fini del matrimonio sono quelli che abbiamo già menzionato: «Bisogna [ … ] che nel matrimonio abbia luogo una completa comunanza di vita e una reciproca sollecitudine dell'uomo e della donna, sia nella salute, sia nella malattia, sia in qualsiasi circostanza» [da notare la somiglianza con la formula cristiana del rito del matrimonio: Prometto di essere fedele sempre, nella salute e nella malattia, di amarti ed onorarti tutti i giorni della mia vita].
A questa sollecitudine, come pure alla procreazione dei figli, entrambi tendono col matrimonio».
Ora, se uno dei fini del matrimonio consiste nella generazione, è chiaro che esso può essere solo tra uomo e donna. Così Aristotele parla di «amicizia tra marito e moglie» e Musonio spiega che la potenzialità generativa del rapporto tra l'uomo e la donna, la loro distinzione-complementarietà, con la connessa attrazione reciproca, richiedono che il matrimonio possa essere solo tra un maschio e una femmina: «A quale scopo il demiurgo dell'uomo, da principio divise in due la nostra specie, poi fece duplici organi riproduttori, femminile e maschili, quindi instillò nell'uno un desiderio intenso per la compagnia e la comunanza [ … ] Egli voleva che questi due vivessero insieme e si procurassero reciprocamente le cose della vita e insieme generassero e allevassero i figli, perché il nostro genere fosse perpetuo».
In generale, il matrimonio romano – come ha rilevato una grande storica come Marta Sordi – è sempre stato monogamico e solo tra maschio e femmina. Perciò, quando Nerone, per due volte, convolò a nozze omosessuali venne duramente biasimato da Tacito, Svetonio e Cassio Dione. Musonio dice inoltre che il matrimonio va protetto non solo perché è il fondamento della società civile ma anche perché è la chiave di volta della prosperità comune, cosicché chi colpisce l'istituto del matrimonio è un nemico del genere umano, e dice inoltre che va difesa la vita che in esso nasce e che i bambini dovrebbero nascere soltanto dentro il matrimonio: «Principio del fondamento di una famiglia è il matrimonio. Di conseguenza, colui che sottrae agli uomini il matrimonio elimina la famiglia, la città, tutto quanto il genere umano. Infatti, il genere umano non potrebbe sussistere in assenza di procreazione, né, in assenza di nozze, potrebbe sussistere la procreazione, almeno quella giusta e legittima».
Si potrebbero poi citare le tesi con cui diversi autori non cristiani condannano la contraccezione: di nuovo Musonio, ma anche Seneca, Epitteto, Sesto (quest'ultimo un pitagorico, gli altri erano stoici, cfr. Ilaria Ramelli, e la relativa bibliografia scientifica, Etica sessuale: Stoici e Pitagorici prima dei cristiani, «il Timone», 76 [2008], pp. 26-27, reperibile su www.ilti mone.org).
Da questa rassegna si colgono già diverse caratteristiche del matrimonio cristiano. Vediamole.
Uomo-donna, apertura alla vita, fatto pubblico
Abbiamo già detto che se un fine del matrimonio è la generazione, allora esso può riguardare solo l'uomo e la donna. Ciò è indicato anche dall'etimologia del termine matrimonio, che viene da «matris munus», cioè compito e dono della madre: ossia è quella istituzione dove la donna esercita il compito della madre e riceve il dono che è proprio della madre. Qual è per definizione il compito-dono della madre in quanto madre? È generare ed educare i figli. Ecco perché un matrimonio tra persone dello stesso sesso, in quanto strutturalmente infecondo, è una contraddizione in termini.
L'amore coniugale è quello in cui è possibile la logica "1 + 1 =3": se l'atto sessuale è esercitato in modo veramente amorevole e non egoistico, esso è un dono, e può avere come conseguenza un ulteriore dono (divino), ovvero un nuovo essere umano, il figlio, che è il frutto della straordinaria dilatazione dell'amore delle due persone coinvolte. Ogni nuovo essere umano è unico e irripetibile, non c'è mai stato un essere in tutto e per tutto identico a lui, né mai ci sarà: anche se in futuro verrà realizzata la clonazione, il clone X della persona Y sarà pur sempre interiormente diverso. E ogni nuovo essere umano è più prezioso di tutte le opere d'arte della terra messe insieme.
Così, se solo Dio crea dal nulla, l'uomo può però pro-creare, sia in senso biologico, sia in senso psicologico-spirituale, cioè mediante la crescita e l'educazione dei figli: i coniugi possono quindi essere prosecutori dell'opera iniziata da Dio, il loro amore può essere «in un certo senso, persino un compimento di ciò che ha avuto inizio con la creazione» (Joseph Pieper).
Il fondamento teologico (ma in buona misura il seguente discorso lo può fare anche una filosofia metafisica) di quanto abbiamo detto è il rapporto tra la natura umana e quella di Dio: se già ogni singola persona è imago Dei, i coniugi che generano ed educano amorevolmente i figli lo diventano in modo eminente: «Dio, che ha creato l'uomo per amore, lo ha anche chiamato all'amore, vocazione fondamentale e innata di ogni essere umano. Infatti l'uomo è creato ad immagine e somiglianza di Dio [cfr. Gen 1,27] che è Amore [cfr. 1Gv 4,8; 1Gv 4,16]. Avendolo Dio creato uomo e donna, il loro reciproco amore diventa un'immagine dell'amore assoluto e indefettibile con cui Dio ama l'uomo» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 1604). Dunque è imago Dei sia l'amore tra i coniugi, sia quello dei coniugi per i figli. Immagine di un Dio che è Trinità (e questo la filosofia non può dirlo, bensì può solo avvicinarsi a questo concetto), cioè comunione di persone.
Certo, possono esserci delle valide e importanti ragioni (psicologiche, mediche, economiche, ecc.) che rendono giusto in un certo momento escludere dagli atti sessuali la possibilità della generazione di un figlio. In questi casi è eticamente giusto anche esercitare atti sessuali infecondi, cioè quelli che avvengono nel periodo del ciclo femminile in cui la donna non è fertile (sulla differenza tra questi atti sessuali e quelli con impiego di contraccettivi cfr. G. Samek Lodovici, Moralmente sbagliata anche per i laici, «il Timone», 112 [2012], pp. 39-41, reperibile su www.iltimone.org; a questo articolo rimando per una più ampia spiegazione delle ragioni del giudizio negativo sulla contraccezione).
Sta di fatto che nell'atto del consenso del matrimonio cristiano i coniugi si promettono solennemente l'apertura alla vita, la disponibilità ad accogliere dei figli. Se due coniugi non hanno figli, il loro rapporto resta comunque un matrimonio: se un albero non produce frutti resta comunque un albero; però, per vari motivi, questo fine non è stato raggiunto (e ciò, a volte, è causa per i coniugi, di un grande e comprensibile dolore). Il loro matrimonio potrà essere fecondo in altri modi: nell'accoglienza agli amici, ai figli degli amici, ai sofferenti, nella dedizione al bene della società, ecc.
Ovviamente, i bambini nascono anche fuori dal matrimonio, ma quest'ultimo è il luogo più idoneo, perché, ancorché oggi si sfasci spesso, è di gran lunga più stabile e più solido di tutte le altre forme di unione, come ho documentato altrove, dati alla mano (cfr. per esempio, G. Samek Lodovici, Genitori separati. I figli soffrono, «il Timone», 63 [2007], pp. 14-15, reperibile su www.iltimone.org e Idem, Matrimonio & divorzio, in T. Scandroglio (a cura di), Questioni di vita e di morte, Ares 2009, pp. 97-120).
Da quanto già dicono gli autori precristiani citati all'inizio, si capisce inoltre che il matrimonio non è un fatto privato, bensì pubblico. È decisivo e cruciale per la società, per la sua continuazione e per la sua prosperità, dato che è il luogo migliore per la trasmissione della vita (senza cui la società si annichila) e per l'educazione dei nuovi esseri umani (senza cui la società si imbarbarisce). Anche qui dati alla mano (cfr. i miei due articoli poc'anzi citati), si deve rilevare che dove si sfasciano molti matrimoni aumentano spaventosamente le patologie psichiche, i suicidi, i costi sociali, i crimini. Per questo lo Stato dovrebbe favorirlo in tutti modi: altro che divorzio breve …
Indissolubilità e fedeltà
Se il matrimonio cristiano è tra l'uomo e la donna, aperto alla vita, cioè disponibile ad accogliere figli ed è un fatto pubblico, l'indissolubilità e la fedeltà lo caratterizzano ulteriormente, anche qui anzitutto per ragioni naturali accessibili mediante la sola filosofia, e poi per motivi teologici.
Nel momento del consenso gli sposi si impegnano, liberamente e consapevolmente, ad amarsi (cioè a volere e cercare il bene dell'altro: per una chiarificazione del concetto di amore cfr. l'articolo di Costanza Miriano in questo dossier) in modo esclusivo e fedele per tutta la vita, qualsiasi cosa accada: cioè anche se l'altro mi picchierà, mi tradirà, diventerà pazzo, anche se cambierà e diventerà completamente diverso, ecc.
Qualsiasi cosa accada, vuoi dire che non c'è nulla di sopraggiunto al matrimonio che possa annullare il loro impegno solennissimo e irrevocabile. È vero, ci possono essere delle giuste ragioni per separarsi (per esempio se ci sono minacce, percosse, ecc.), cioè smettere di coabitare; ma mai ragioni eticamente valide per il divorzio, perché quest'ultimo calpesta l'indissolubilità e la fedeltà (ho argomentato più estesamente le ragioni laiche dell'indissolubilità nei miei articoli già citati). Certo, se uno dei nubendi ha nascosto qualcosa di importante su di sé e/o se questo impegno è stato pronunciato per costrizione e/o senza sincerità e/o senza consapevolezza, allora il matrimonio non c'è mai stato ed è nullo fin dal principio: "nullo", non "annullato" come si dice spesso impropriamente, perché, se era valido, non è possibile annullarlo.
E quanto alla sincerità e alla consapevolezza circa questo qualsiasi cosa accada, è probabile che oggi siano assai rare tra coloro che pur si sposano in chiesa. Il che vuoi dire che oggi moltissimi matrimoni (probabilmente in percentuale enorme … ) sono di fatto nulli. Un'altra ragione della fedeltà è il bene dei figli: sia perché un primo e decisivo modo di amare i figli è amarsi tra genitori, creando un ambiente il più possibile irrorato dall'amore, di cui i figli si nutrono (infatti i bambini, fin da quando sono molto piccoli, soffrono quando percepiscono disaccordi e conflitti tra i loro genitori); sia perché un genitore infedele che ha figli da altre relazioni non può dedicarsi in modo pieno ai figli che ha generato.
Sul piano teologico, la motivazione più profonda dell'indissolubilità e della fedeltà si trova «nella fedeltà di Dio alla sua alleanza, di Cristo alla sua Chiesa. Dal sacramento del Matrimonio gli sposi sono abilitati a rappresentare tale fedeltà e a darne testimonianza»; e, ancora, «La fedeltà esprime la costanza nel mantenere la parola data. Dio è fedele. Il sacramento del Matrimonio fa entrare l'uomo e la donna nella fedeltà di Cristo alla sua Chiesa» (Catechismo, nn. 1647 e 2365) .•
Per saperne di più …
In aggiunta ai testi e articoli già citati sopra:
Ramon Garcia de Haro, Matrimonio e famiglia nei documenti del Magistero. Corso di teologia matrimoniale, Ares, 2000.
Caterina Martinoli, La famiglia naturale. Garanzia istituzionale & diritto di libertà, Ares, 2009.
Mario Palmaro, Matrimonio e famiglia, I Quaderni del Timone, 2007.
Il Timone – Settembre/Ottobre 2015